L’Italia, difficile peggio di così

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E’ difficile andare peggio di come sta andando l’Italia soprattutto rispetto agli altri paesi europei che sono intorno a noi. Basta guardare gli indici che emergono dal rapporto ISTAT del 2014 per rendersene conto e che il presidente Antonio Golini ha presentato il 28 maggio scorso alle autorità e agli invitati. Aumenta ulteriormente la distanza tra il Mezzo giorno e il resto del Paese, la disuguaglianza è tra le più alte presenti sul pianeta, soltanto il trenta per cento ha migliorato il fatturato e l’occupazione.

E proprio l’ISTAT ci fa sapere che ci vorrebbero quindici miliardi per ridurre la povertà delle famiglie che angustia gli italiani più sensibili. Negli ultimi sette anni, l’occupazione non è andata avanti di un passo e nell’ultimo anno la diminuzione è ancora diminuita di 478 mila unità. Tra disoccupati, più di tre milioni, e persone che sarebbe ro disposte a lavorare, oltre tre milioni anche loro, nel 2013 si calcola che ci siano oltre sei milioni di persone che si potrebbe ro a qualche titolo impiegare. Negli ultimi cinque anni sono usciti dal mercato del lavoro quasi due milioni di giovani dai diciotto ai trentaquattro anni. E i giovani che non lavorano e non studiano sono 2 milioni e quattrocentomila, oltre mezzo milione in più rispetto al 2012.

Insieme fanno quasi  sei milioni di persone e questo è uno degli indici meno confortanti della crisi italiana. Una diretta conseguenza di quel che è successo è che sono stati oltre ventiseimila i giovani che hanno lasciato l’Italia, diecimila in più rispetto al 2008 (tra gli Italiani che hanno da quindici a sessantaquattro anni ve ne sono stati cinquantamila nel 2011 e sessantottomila  nel 2012). In totale sono stati novantaquattromila ad andarsene nel Regno Unito, in Germania oppure, fuori dell’Europa, negli Stati Uniti e in Brasile. Se ne vanno anche quelli che hanno più di  trenta quattro anni: nel 2012 se ne sono andate sessantottomila persone, il numero più alto degli ultimi dieci anni cresciuto di oltre il 35 per cento rispetto a tre anni fa. Anche la natalità è ai minimi storici: l’anno scorso le nascite sono state poco più di     cinquecentomila.

Tra l’altro persino gli immigrati preferiscono mete diverse, malgrado il chiasso che si fa su di loro, in particolare la Lega Nord di Matteo Salvini e tutti i partiti populisti ed euroscettici, tra i quali non possiamo dimenticare l’UKIP inglese di Nigel Farange e il movimento francese guidato da Marine Le Pen, e i loro arrivi sono diminuiti del ventisette per cento. Sempre secondo l’ISTAT, il nostro Prodotto Interno Lordo ritornerà a crescere dell’0,6 per cento nel 2014 e dell’1 per cento nel 2015. Il ministro dell’Economia ha dichiarato che il lavoro è l’attuale priorità del governo Renzi e che, nei prossimi mesi, prenderemo misure in modo da produrre lavoro in maniera crescente nei prossimi trimestri. E poi ci saranno le riforme tanto attese tra cui una riforma strutturale del mercato del lavoro. Purtroppo la crescita mancata limita in maniera notevole anche le manovre del governo per contenere il debito pubblico. In Italia vale la pena non dimenticarsene ci sono un milione di famiglie che vivono di una sola pensione di lavoro e tre milioni di famiglie che non hanno nessun occupato.

Le famiglie in cui l’unico occupato è una donna sono cresciute negli ultimi cinque anni da un milione e settecento tredicimila a due milioni e trecento quattromila.   A tutto questo contribuisce anche la scarsa produttività caratteristica nell’economia italiana. Le due cose messe  insieme – la mancata crescita e la scarsa produttività – hanno controbilanciato in maniera negativa le grandi manovre fiscali attuati dai governi Berlusconi, Monti e Letta negli ultimi tre anni e per rispondere a quelle manovre sono state impiegate le poche risorse ancora disponibili. “Il nostro è stato l’unico Paese dell’Unione Europea – ha scritto l’ISTAT – a non aver attuato nel complesso politiche espansive. Alcuni osservatori concludono le loro note  scrivendo  che soltanto i pensionati sono in grado di spendere, visto che la contrazione dei livelli di consumo delle famiglie si è verificata nonostante la minor propensione al risparmio e il ricorso crescente all’indebitamento. In cinque anni il potere di acquisto è sceso di oltre il dieci per cento nel 2013.  Infine la crisi ha aggravato, come già si accennava il divario territoriale tra Nord, Centro e Sud.

Nel Sud Il tasso di occupazione maschile è sceso del  cinquantatre e sette per cento, oltre dieci punti più basso della media nazionale. Le famiglie meridionali in cui non è presente nessun occupato sono passate dal quattordici e cinque per cento nel 2008 al diciannove e cento nel 2013. Non soltanto il rischio di povertà nel Sud è molto più diffuso ma c’è un ulteriore effetto visto che i giovani vanno via ancora di più e quindi il Mezzogiorno sta invecchiando molto più rapidamente che il resto del Paese. Se vivessimo in un paese dell’ Europa piuttosto che in Italia ci preoccuperemmo per gli amici in difficoltà che abbiamo in quei paesi ma, visto che viviamo proprio nel Bel Paese,  sembra inevitabile dire: difficile star peggio di come stiamo in questi anni!


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