Arrivi, partenze o ‘triangolo delle bermude’?

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Un italiano a Parigi, presumibilmente sfaccendato, indubbiamente con ‘portafoglio cantante’, esercita  indisturbato  e relativo cinismo l’ambita  arte del seduttore e del collezionista di donne, secondo la migliore tradizione, anzi ‘imprimatur’, della commedia americana timbrata Neil Simon, Ben Hecht, Charles Mc. Arthur.  Dando al suo gusto per la trasgressione una sorta di ‘equilibrio’ mentale e fisiologico, il giovane ganimede decide di restringere il serraglio delle ‘prede’  a tre-solo-tre ‘promesse spose’- tutte hostess di linee aeree- blandite ed accolte (nella splendida magione ad ampio semicerchio bianco crema)    mediante una specie di calepino\prontuario (in gergo ‘il mio  vangelo apocrifo’) che, mancando ancora i computer (il copione è degli anni sessanta) dispiega, prevede,  presiede  ai decolli e atterraggi del gustoso andirivieni.   “Una sincronizzazione perfetta, tra il gusto mitigato del brivido, il piacere  del rischio calcolato e una relativa, appagante tranquillità”- annotava Marc Camoletti  quando stese il copione.

L’incantesimo s’infrange con  l’improvviso arrivo di uno smarrito amico (‘bon paysan’ di miti pretese), aspirante  gourmet della ‘ville du plaisir’, addizionato  ad una fastidiosa impennata  del progresso tecnologico . Da cui  un’esplosione confusionaria, non più attendibile nella  tabella di marcia degli arrivi e partenze che  dissacra e manda  in frantumi  gli improbabili progetti della ‘simpatica canaglia’ -in missione nel bel  mondo libertino.  Tuttavia, come direbbe il filosofo della domenica, non tutti i mali vengono per nuocere. Specie se le tre (splendide) fanciulle, giganteggianti come modelle di Versace, giungeranno a conoscersi, confrontarsi, reagire. Scatenando un vortice reattivo degno del Triangolo delle Bermude.

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Teatro brillante e marcatamente ‘boulevardier’, “Boeing Boeing” potrebbe essere ‘liquidato’ quale buona opportunità di serata digestiva e lievemente nostalgica, contigua a certi sollazzi dell’antico Bagaglino, alle imperdibili recite di Rascel e Bramieri, al teatro ‘d’evasione’ -necessario e benefico -di Garinei e Giovannini negli anni successivi al terremoto bellico. Come dire? Si fa presto a distinguere, dietro la fluida, flautata maschera dell’ottimo Gianluca Guidi, la sagoma di papà Dorelli o quella dell’inarrivabile Walter Chiari.

Così come l’amico imbranato e ciondolone (Gianluca Ramazzotti, eccellente) non può che scaturire da antiche ‘maschere’ di nome Riccardo Billi, Raffaele Pisu, Toni Ucci, Erminio Macario; e la tata dello sciupafemmine, ferrigna e virago, essere la riproposizione di ruoli fortunatissimi collaudati (illo tempore) da Ave Ninchi,Pina Cei, Giusi  Raspani Dandolo:  tipologie di caratteri e di icone (ormai e purtroppo ignorate) d’una certa stagione,di un certo modo di intendere il teatro ‘ d’evasione’ nella sua più stretta accezione (antropologica) di fuga dalla gabbia ambulante ‘nel triste stiracchiarsi  d’un provincialismo borghese e moralista’. In un’Italietta che, sino al benefico avvento del sessantotto, viveva per  parrocchie,  querimonie e abbonamenti al postribolo.  Essendo tuttavia a noi urticante qualsiasi devianza di moralismo e pedagogia: nel senso che  ciascuno ha il  suo (non voluto) passato e il suo (già infranto) avvenire.

E piacendoci semmai chiosare su alcuni corollari che l’edizione italiana della commedia transalpina (tradotta per il cinema da John Rich nel 1965, protagonisti Tony Curtis e Jerry Lewis) assume in questo caso. Ad iniziare dall’equivoco (normalmente diffuso) del tipico sogno ‘ingenuo \ maschilista’, secondo cui poligamia ed harem  coesistano   beatamente   sul groppone ignaro della ‘favorita’ di turno. Falso. E dimostrato in modo stringato (sublime) da Federico Fellini in “Amarcord”, con la  silenziosa, quasi  ‘sacrale’ sequenza della visita (leggendaria)  del Gran Sultano  al Grand Hotel di Rimini. Poligamo si, ma in isometrica ed isomorfica coesistenza della tante mogli,  riverite e allogate in adeguate suite del celebre albergo.

Per suo conto,l’allestimento  della commedia in salsa italiota,qui a firma di  Barcellona ed Evans, poco o nulla concede alla temibile apologia del maschio latino e fescennino, senza per questo trascendere nella burla fustigativa. Si inizia dai postulati  della donna ‘oca e giuliva’, del l’uomo in calore ‘ginnico e centometrista’ , dell’amico stralunato che mostra di avere ‘scarpe grosse e cervello fino’. Ma non si esagera verso il tourbillon (decisamente anacronistico) della gabbia di matti impenitenti e farfuglioni. Prevale –piaccia  o meno- la pacata assoluzione del libertino perdente, il suo consapevole ravvedimento rispetto alla baraonda dei sotterfugi e degli inganni. Al colmo di un frivolo trattenimento, di un lounge drink   fuori orario:  misturato in parsimonia espressiva e ottima performance di tutto il comparto interpretativo, con molto encomio per la ‘tetragona’ Ariella Reggio.     Buona serata a tutti.

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“Boein Boeing” di Marc Camoletti. Prod.  Ente Teatro Cronaca Sas & Artu’, in collaborazione con Festival di Borgio Verezzi e Festival di Benevento. Versione italiana di Luca Barcellona e Francis Evans. Con Gianluca Guidi, Gianluca Ramazzotti,  Ariella Reggio Barbara Snellenburg, Sonja Bader, Marjo Berasategui- scene e costumi Rob Howell- musica originale di Claire van Kampen- disegno luci Stefano Lattavo- regia di Mark Schneider sulla regia originale di Matthew Warchus. Roma, Teatro Quirino 


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