Il 24 novembre è stato il giorno più nero per i giornalisti siriani: ne sono stati uccisi 6, di cui 5 nella sola Aleppo

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Un’alleanza formata da 20 media liberi siriani ed oltre 50 ONG internazionali ha lanciato il 2 dicembre la campagna “Free Press for Syria“. Un appello ed una petizione online rivolti alla società siriana, alle istituzioni ed all’opinione pubblica internazionale per una forte presa di posizione contro le violazioni e gli abusi di cui sono oggetto i giornalisti siriani e stranieri che lavorano nel Paese. Una inziativa senza precedenti per l’ampiezza della coalizione che la sostiene e per il coraggio dimostrato dai giornalisti ed operatori dei media in loco che con la loro adesione entrano ancora più nel mirino della repressione di regime e di quella delle milizie jihadiste, principali destinatarie della petizione.

Tra le organizzazioni internazionali che sostengono l’appello ci sono tutte le maggiori ONG impegnate nella difesa della libertà di stampa, a partire da Reporter Sans Frontiéres fino ad arrivare a Freedom House.  Un ruolo da leone gioca anche la società civile italiana che ha sostenuto l’iniziativa sottoscrivendo con alcune delle più grandi organizzazioni, come la CGIL o l’ARCI, con associazioni di categoria come Articolo21, ONG come Un Ponte Per, Associazione per la Pace e la branca italiana di Amnesty.
Se il regime di Asad ha imposto uno dei più rigidi sistemi di censura al mondo per 40 anni, e dal 2011 ha preso di mira con particolare attenzione gli operatori dell’informazione, oggi i giornalisti devono affrontare una nuova letale minaccia: le orde barbariche di jihadisti legati ad Al Qaeda, che ormai controllano porzioni delle aree “liberate” del Paese, imponendo un regime non meno repressivo di quello del dittatore stesso.
Fare informazione in Siria è talmente pericoloso che il rapporto dedicato da Reporter Sans Frontiéres alla Siria pubblicato il 6 novembre si intitola “Giornalismo in Siria: missione impossibile?“. I numeri del rapporto sono impressionanti, anche se sicuramente al di sotto di quelli effettivi: 110 operatori dei media uccisi dall’inizio della rivoluzione, 60 attualmente detenuti.Il primo ed il quindici ottobre Radio Ana ha subito attacchi ai suoi uffici proprio a Al Raqqa da parte di ISIS.  Nei due attacchi ISIS ha prima rapito il direttore dell’ufficio locale di Radio Ana, poi ne ha sequestrato tutte le apparecchiature. Radio Ana era colpevole di criticare le angherie di ISIS ed il regime di terrore che stava instaurando a Raqqa. Alla denuncia da parte dello staff di Radio Ana è corrisposto il diffondersi sui siti web degli integralisti islamici dell’accusa al co-direttore di Ana, Rami Jarrah, di essere un agente dell’ occidente infiltrato in Siria. Curiosamente, l’accusa è speculare a quelle del regime, che addita i media indipendenti come agenti delle forze imperialiste infiltratisi per destabilizzare  il Paese.
In aumento sopratutto le aggressioni da parte delle milizie dello “Stato Islamico dell’Iraq e del Levante” (comunemente abbreviato con l’acronimo inglese “ISIS“”), tanto che il media center legato al comitato di coordinamento locale di Al Raqqa, la prima grande città ad essersi liberata dalla dittatura di Asad, il 4 novembre ha diramato un comunicato di denuncia della situazione .Episodi come quelli di Radio Ana non sono rari, per restare a Raqqa possiamo citare il caso di Mahmoud Shia’be, sequestrato e torturato per aver criticato ISIS. Se ci spostiamo ad Aleppo invece è significativo il caso di Abdul Wahab Malla, un media-attivista siriano conosciuto come “Abu Stef”, autore di tanti video satirici in cui critica ferocemente sia l’opposizione siriana che il regime e le milizie islamiste. Pochi giorni prima di essere rapito, Abu Stef ha pubblicato un video in cui riprende la tradizione dei “hakawati”, cantastorie diffusi nei paesi levantini fin dal tempo degli ottomani, e parla del rapimento di giornalisti ed attivisti ad opera degli islamisti. Le sue parole sono risultate profetiche. Malla stava lavorando insieme alla Associazione dei Giornalisti Siriani ad un codice di autoregolamentazione basato sugli standard deontologici internazionali, nella speranza di arrivare ad un tacito accordo che potesse diminuire il numero di aggressioni e rapimenti.

Il 24 novembre è stato il giorno più nero per i giornalisti siriani: ne sono stati uccisi 6, di cui 5 nella sola Aleppo.
Sostenere questa campagna vuol dire ridare centralità alla società civile siriana, quella che era scesa in piazza fin dal marzo 2011 per chiedere libertà, pluralismo, democrazia ed autodeterminazione. Le voci che sia gli integralisti che il regime vorrebbero far tacere sono quelle di chi vuole costruire un Paese diverso da quello “del male” che Domenico Quirico descrive ingenerosamente nel suo libro, sono voci che nei nostri media sono oscurate dal bagliore delle esplosioni e dalle luci della ribalta della diplomazia. L’informazione italiana sembra non riuscire a raccontare i fatti siriani, nonostante migliaia di giovani giornalisti e mediattivisti che fanno della rivolta siriana uno degli eventi storici più documentati di sempre. Voci inascoltatema che potrebbero, dopo le necessarie verifiche, essere ottime fonti per i nostri media. Il sostegno a “Free Press for Syria” serve anche a non farle sentire sole, perchè non siano più voci nel buio.
* Articolo scritto per Osservatorio Iraq

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