Giornalisti. Mr La Rue, l’Italia e il problema negato

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Le impressioni del Relatore Speciale dell’Onu sulla libertà di stampa al termine di una settimana di contatti a Roma con autorità e società civile. Cosa lo sorprende. Cosa propone

di Alberto Spampinato

ROMA – In Italia la libertà di informazione è limitata da vari problemi. Per risolverli occorrono leggi di garanzia e norme di trasparenza e, soprattutto, bisogna superare “una certa mentalità”, un vecchio modo di pensare che non permette di riconoscere i problemi della libertà di informazione, non permette di vederli per quel che sono. Quella mentalità che può condensarsi nel motto “dàgli al giornalista”. Al termine della sua missione in Italia Frank La Rue, lo “Special Rapporteur” dell’ONU, ammette di essersi scontrato con problemi che prima che ancora di essere politici, hanno natura culturale.

Le intimidazioni ai giornalisti, le querele facili, le richieste di danni altissimi per “togliere la pelle e il vizio” al giornalista che ha osato scrivere certe cose (sia pure vere, ma negative) sul nostro conto, spiega La Rue, certamente sono consentite da leggi sbagliate che rendono la vita facile ai prepotenti che non vogliono che i giornalisti parlino dei loro affari sporchi o semplicemente dei fatti negativi in cui sono coinvolti; da leggi anche dolorosissime per i giornalisti. Ma la condizione di debolezza dei giornalisti italiani sarebbe inspiegabile se non fosse sorretta da “un certo modo di pensare”, da una ideologia che fa apparire il giornalista onesto e scrupoloso come un insopportabile ficcanaso anche a persone miti, oneste, perbene che dovrebbero riconoscere il giornalista impertinente come un difensore dei suoi diritti.

Questa mentalità, questa ideologia del “niente regole, siamo italiani” è la stessa che fa apparire esotici ed aleatori gli standard giuridici internazionali fissati per garantire la difesa dei diritti umani, quando si tratta di applicarli in Italia, anche se sono gli stessi standard che noi italiani invochiamo per censurare gli eccessi persecutori della Russia, della Cina o della Turchia.

È questa mentalità che fa apparire normali tante altre anomalie italiane: la concentrazione della proprietà di giornali e tv in poche mani, il conflitto di interessi fra chi occupa incarichi di governo ed è proprietario di giornali, le contraddizioni di una tv pubblica governata con logiche di partito…

Frank La Rue si è mosso in questa jungla come un esploratore che sul terreno scopre problemi più gravi di quelli che aveva immaginato. Adesso deve rifletterci sopra e scrivere per l’ONU un rapporto sull’Italia proprio su queste cose. Cosa scriverà?

Al termine della sua missione esplorativa in Italia ha detto chiaramente che la prima cosa che lo ha colpito è stato scoprire quanto sia difficile intendersi con gran parte delle autorità italiane, perché negano il problema. La maggior parte delle persone che ha incontrato, ha spiegato, gli hanno detto che la libertà di stampa in Italia non soffre di nessun problema.

“La posizione prevalente fra coloro che ho incontrato, fra la maggior parte delle autorità e perfino fra qualche giornalista – è che in Italia la libertà di stampa e di espressione in Italia sia totale, piena, non sia affetta da nessun problema. Quando io ho detto: ma le minacce? Le intimidazioni? E la diffamazione? Dovete depenalizzarla completamente , non basta togliere il carcere. Punire la diffamazione come un reato penale è di per sé un’intimidazione. No, mi hanno detto, questo in Italia non si può fare. In Italia è necessario punire i giornalisti”.

“Ecco – commenta questo avvocato guatemalteco che da vent’anni si batte per il rispetto dei diritti umani fondamentali – , ogni volta, discutendo, è venuta fuori questa mentalità secondo cui bisogna difendersi dai giornalisti che esagerano, che si mostrano irresponsabili, che fanno affermazioni esagerate. Non basta costringerli a ristabilire la verità, bisogna punirli, mi hanno detto. E la cura deve essere dolorosa, altrimenti non fa effetto. Mi ricorda quello che dicevano in Guatemala a noi bambini: devi fare la puntura anche se è dolorosa, se non fosse dolorosa non ti farebbe guarire. Io non ci ho mai creduto”.

“Di fronte alle obiezioni sulla depenalizzazione io ho obbiettato: ma c’è il codice civile! No, mi hanno detto, ci vuole il codice penale, perché la giustizia civile in Italia è troppo lenta”.

Che fare di fronte a tutto ciò? La Rue spera nella società civile e in una riscossa dell’orgoglio professionale dei giornalisti. Questa riscossa di per sé, dice, sarebbe una risorsa potente, anche per ottenere che i giornalisti di cronaca, gli autori delle inchieste sugli scandali, quelli che a centinaia in questi anni hanno subito intimidazioni, minacce e abusi giuridici, “come avete documentato voi di Ossigeno per l’Informazione“, siano veramente protetti e difesi, sottolinea.

“Anche in Italia i giornalisti di cronaca, i giornalisti di inchiesta – conclude La Rue – hanno bisogno di una protezione speciale: la stessa protezione concessa agli attivisti che difendono i diritti umani. Perché non dovrebbe essere possibile in Italia? Nel 2012, il presidente del Senato Pietro Grasso, quando era ancora procuratore nazionale antimafia, ha proposto una legge specifica per proteggere i giornalisti. Ha proposto sanzioni per colpire quei comportamenti messi in atto per ostacolare la libertà di informazione che non si riescono a punire nonostante impediscano l’esercizio di una libertà sancita dall’Articolo 21 della Costituzione. Io condivido la proposta del presidente del Senato. Se si lascia impunito chi ostacola il diritto dei cittadini di essere informati, si indebolisce la democrazia”.

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