Berlino,50 anni dopo. Il caffè di giovedì 20 giugno

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Non si salva nessuno, tutti gli occhi dei giornali sono puntati su di Lui, con il nome intero o solo con l’iniziale o addirittura senza nome (per non pronunciarlo invano). “La consulta boccia..”, “No della consulta a…” ,”La corte sbugiarda…”. ”Consulta, stop a… ”A un passo dalla fine”. L’ultimo titolo, l’unico senza puntini né nome, è quello del Giornale. Ma, insomma, che è successo? Che la Corte Costituzionale, la sola che possa statuire sul conflitto tra poteri dello Stato, ha stabilito che un Capo del Governo non possa fissare una riunione qualunque dell’esecutivo nello stesso giorno in cui è prevista l’udienza di un processo che lo vede imputato. E farlo e rifarlo fino a che scatta la prescrizione. Ovvio, direi banale. O no?

Ghedini e tutti i parlamentari e avvocati, i quali si sono arricchiti con la tesi che non si possa processare un politico miliardario e potente, ora fanno gli offesi. Per loro il Giudice non ha il diritto di pensare. Suo compito esclusivo è applicare la legge così com’è o come viene stravolta. E se, applicandola, con ossequio, si finisce con il paralizzare la giustizia, poco importa. È giustizia pure quella. Per Ghedini, come per il Tg1 qualche tempo fa, prescrizione e assoluzione sono sinonimi. Purtroppo per loro, il troppo stroppia. È scattato l’oltraggio alla corte. Lo dico da tempo. In America il Giudice avrebbe mandato Berlusconi direttamente in galera per ostacolo alla giustizia. In Italia tutti i magistrati, siano di destra o no, ormai si sentono tutti offesi dalla strategia politico giudiziaria dell’imputato Berlusconi Silvio. E agitano il cartellino giallo. Che diventerà rosso quando l’interdizione per 5 anni dai pubblici uffici passerà in giudicato. Manca solo la Cassazione. Berlusconi sarà espulso per somma di ammonizioni.

Il nostro Balotelli (invece dei muscoli mostra il lifting) lo ha capito e, come direbbe Renzi, fa il buonino. Non gli resta che chiedere l’indulgenza al Papa, cioè al Presidente della Repubblica e al corpo mistico della Politica, unita nel supremo sforzo per salvare la Patria e Berlusconi. Come “faremo” a salvarlo, davvero non lo capisco.  Ma, certo, io sono un uomo di poca fede. Leggo i sondaggi, osservo lo scorrere quotidiano delle notizie, e penso che l’Italia non sia malata di ingovernabilità, per via della Costituzione del 48. La malattia vera sta nella separazione durata troppi anni tra classi dirigenti e società. Gli  elettori se ne sono accorti e, in massa, se ne sono andati in licenza (astenendosi o votando 5 Stelle). La messa – cito Diamanti- è davvero finita. E temo che quel (piccolo?) gesto di pietas politica che ci viene richiesto (un po’ come sarebbe stato se i partigiani avessero accompagnato Mussolini su un’aereo in partenza per la Spagna invece che appenderlo in piazzale Loreto) costerebbe davvero troppo. Convincerebbe le Italiane e gli Italiani che del disastro dell’economia non importa niente a nessuno. Che destra e sinistra hanno fatto vedere per venti anni di essere in guerra ma per mostrarsi solidali quando si trattava di difendere gli interessi di uno di loro. Lasciamo perdere. In fondo Berlusconi rischia solo una vacanza dorata, con denaro escort e ruffiani a lenire il tormento.

Amici e compagni del Pd, non peccate di superbia. Non trovate conforto nei mali altrui. Non basterà essere rimasti i soli su piazza, l’unico partito che abbia ancora una struttura nazionale. Né vi distragga lo spettacolo del vincitore nel voto di febbraio, dico Beppe Grillo, già quasi nella polvere. Certo questa cosa del voto in Rete, dei tredicimila che hanno decretato l’espulsione di Adele Gambaro, è di quelle che lasciano il segno. Meglio, molto meglio sarebbe stato se fosse piovuto solo un diktat del capo. Un grugnito: fuori! E i parlamentari che ratificano. L’avallo della rete somiglia a un inutile linciaggio. Voler mostrare alla folla la testa del buffone che ha osato dire al Re quel che il Re non voleva sentire. È democrazia alla Orwell. Il dito unto di salame dei tredicimila, come il popolino che non aveva pane e mangiava invidia, accompagnando al rogo le vittime dell’inquisizione. Gambaro e Pinna rischiano molto meno. Per fortuna. Ma così Grillo sputtana la Rete, usandola come surrogato del tribunale interno al Movimento o come Politbureau. Forse bisognerebbe scrivere, per la Rete, Leggi come quelle che Asimov immaginò per la robotica. Che so: “Primo, non offendere chi vive nel mondo esterno. Secondo, non pensare che sempre i tanti abbiano ragione e i pochi torto”.

“Per un paese senza corruzione”, Recita così, tradotto, il cartello che La Stampa sbatte in prima pagina. È stato scritto a mano. Lo mostrano due tifosi in uno stadio brasiliano. Già, il mondo del calcio è migliore di chi lo organizza e lo sfrutta. La rivolta contro il caro trasporti in Brasile ha vinto anche con l’appoggio del campo. Mi vengono in mente le olimpiadi del 68, in Messico, con la strage ordinata dal regime a poche ore dalle gare e il silenzio decretato dai media internazionali. Poi, quei due meravigliosi atleti che alzano al cielo il pugno delle pantere nere. La verità, talvolta trionfa. E la vita ruba la scena alla rappresentazione.

A proposito, Barak Obama ha parlato a Berlino 50 anni dopo JFK. Per avere lo stesso impatto che ebbe Kennedy quando disse: “Ich bin ein Berliner” (sono Berlinese, lo dico davanti al Muro con lo stesso onore con cui un tempo si usava dire cives romanus sum), Obama avrebbe dovuto promettere un mondo che rispetti i diritti, tutti i diritti, del cittadino, della donna del bambino, della sessualità, del lavoro. Ha invece promesso meno bombe atomiche. E più Droni. Apprezzo Obama, me neppure lui riesce ormai a far sognare. Chissà. In fondo Asimov pensava all’Europa, quando ha immaginato il pianeta che aveva saputo nascondere e proteggere la Fondazione. Intanto la Francia ha strappato all’Europa che il cinema non rientri negli accordi di libero commercio. La creazione non è solo merce, dicono oltralpe. L’eccezione culturale non piace a liberisti e grandi giornali americani. Noi italiani, more solito, non sappiamo. Tant’è che il ministro dei beni Culturali condivide la scelta di Parigi, quello del Commercio Estero, no.

Da corradinomineo.it


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