In Siria disastro a stelle e strisce

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Inseguiti dal fantasma della catastrofe irachena gli uomini di Obama hanno gestito una politica catastrofica in Siria. Perdendo soprattutto sul piano dei valori.

Quelli di Clinton e di Kerry non sono nomi da poco, ma la politica estera sotto di loro ha registrato il più incredibile fiasco: quello siriano. Se ci guardiamo attorno ci rendiamo conto che due grandi protagonisti, i russi e gli iraniani, sono riusciti a costruire una “narrativa” sul quel conflitto che ha coinvolto ampi settori sensibili al loro punto di vista, ma anche “indecisi”. E’ un “melting pot” estremamente importante, sebbene inquietante dal nostro punto di vista, che mette insieme antagonismi, anti-americanismi, islamofobismi, identitrarismi, tuttti insieme sapientemente miscelati in un ircocervo pro-Assad. E gli americani?

Dal primo giorno, cioè dal marzo 2011, gli americani non hanno saputo costruire una narrativa politica, perché preoccupati di non mettere piede in Siria, dopo la devastante esperienza irachena, hanno occultato il fatto basilare: in Siria c’era da difendere una pacifica insurrezione popolare contro un despota. Affermare questo avrebbe obbligato gli americani all’intervento diretto? Ovviamente no: c’era un’infinità di vie mediane. Ma occultarlo ha consentito il prevalere della narrativa opposta. E cioè che in Siria non era in corso una lotta di popolo contro un despota, ma un conflitto etnico-confessionale. Se così era, Assad non combatteva per rimanere al potere, ma per difendere se stesso e la sua comunità. Il presidente siriano ha immediatamente capito che questa era la sola via per resistere, trasformare il conflitto in una “guerra di religione”, e lo ha fatto, operando sul campo in modo da portare una pulizia etnica che costringesse gli alawiti a “stare con lui”, prigionieri dell’odio che Assad costruiva contro di loro proprio con le azioni di pulizia etnica contro i sunniti.

Ecco che la paralisi americana e la strada prescelta da Assad e Iran ha determinato una reazione: se il conflitto è confessionale allora “noi sunniti” diamo vita a Jabhat al-Nusra. Questa forza fondamentalista sunnita filo-al Qaida si chiama in relatà Jabhat Nusrat Ahal al-Sham, ovvero Fronte della Salvezza del Popolo Siriano. E’ la risposta dei sunniti, in termini confessionali, all’azione di Assad e degli iraniani e all’inazione statunitense. Non a caso i fondi vengono con tutta evidenza dai paesi del Golfo, alleati di Washington nella grande partita medieorientale contro Iran e Assad, ma privi di un indirizzo politico da parte del loro “grande amico”. Qui gli americani con l’ambasciatore Ford, commisero l’ultimo errore, il sigillo a quelli precedenti: indicarono che il futuro era in un governo inter-confessionale. I casi iracheno e libanese non erano serviti dunque a far capire al dipartimento di stato che ridurre le comunità etnico-confessionali ad un blocco politico è un errore capitale.

Ecco che gli americani oggi appaiono privi di una narrativa, prima che di una politica: non hanno scelto di difendere la pacifica proteste degli albori, hanno lasciato così che la deriva etnico-confessionale imposta dall’Iran prevalesse, e si ritrovano con l’opzione di armare i ribelli “ma con la paura che le armi cadano nelle mani sbagliate”. Fino al punto da indicare la linea rossa dell’uso di armi chimiche e poi trasformarla in una linea “mobile”, dimostrando di non avere contato fino a due né imponendola né rimuovendola.
Il sonno della diplomazia, come quello della ragione, non genera mai bei risultati. Mosca invece porta a casa un risultato stratosferico in termini diplomatici, geopolitici ma soprattutto politico-populistici: è un risultato costruito sulla pelle dei siriani, ma questo per il populismo anti-americano di Putin cosa volete che conti.

Da ilmondodiannibale.it   


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