Le risposte immediate che servono al Paese

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Dopo ciò che è accaduto domenica mattina davanti a Palazzo Chigi, mentre il governo Letta stava giurando al Quirinale nelle mani di Napolitano, credo sia chiaro a tutti che l’Italia non possa rimanere ulteriormente senza un governo. L’uomo che ha sparato ai due carabinieri (ferendone uno in maniera molto grave), infatti, non è affatto uno squilibrato, com’era parso dalle prime notizie filtrate subito dopo il folle gesto, bensì un uomo disperato in quanto privo di lavoro, certezze e prospettive per il futuro.

A tal proposito, posto che non c’è nulla di giustificabile o anche solo di comprensibile nella sua barbara azione, è però fondamentale chiarire un punto che molti in queste ore stanno cercando di far passare in secondo piano: il comportamento di quell’uomo non è stato dettato da un raptus di follia o da una qualche forma di squilibrio mentale; al contrario, è stato premeditato, cercato e voluto con inconfutabile lucidità, guidato dal desiderio di uccidere e vendicarsi nei confronti di coloro che – a suo giudizio – gli avevano rovinato la vita.

Non a caso, per sua stessa ammissione, non voleva colpire le forze dell’ordine bensì i politici: questa categoria oramai indistinta che ha senz’altro le sue colpe nella gravissima crisi che sta squassando il Paese ma sulla quale va anche detto che sono stati versati fiumi di malevolo inchiostro da parte di opinionisti e commentatori senza scrupoli che non hanno saputo trovare di meglio, per aumentare la tiratura del proprio giornale, che trasformare l’intera classe dirigente in un bersaglio, gettando in continuazione benzina sul fuoco e accusando di connivenza e buonismo chiunque si permettesse di far notare loro che stavano esagerando e che persino tra i politici vi sono tante persone perbene.

Per questo, pur essendo ben coscienti del fatto che non sia il massimo, ci auguriamo che quest’esecutivo di larghe intese, varato grazie all’infinita saggezza di Napolitano, sia sostenuto con lealtà e convinzione dalle forze che hanno deciso di aderirvi.

In tal senso, apro una parentesi per chiarire la mia posizione: personalmente, appartengo agli scettici circa le potenzialità di un governo che racchiude in sé posizioni, idee e visioni della società e del mondo assai differenti. E sono ancor più scettico circa la tenuta di una maggioranza quanto mai eterogenea, forse addirittura più composita di quanto non sia stata quella che ha sostenuto il governo Monti. Tuttavia, se fossi un parlamentare, non avrei alcun dubbio: accorderei la fiducia all’esecutivo e mi batterei ogni giorno per imprimere a ciascun provvedimento una chiara sterzata in direzione progressista. Così mi comporterei io e così mi auguro che si comportino tutti i parlamentari del Partito Democratico, accantonando le divisioni e i litigi delle scorse settimane e anteponendo le esigenze di una Nazione allo stremo ai propri interessi personali.

L’Italia, infatti, non avrà un domani se anche la compagine snella e relativamente giovane formata da Letta proseguirà negli errori commessi dai governi precedenti. E, in particolare, non avranno alcuna speranza le nuove generazioni se anche l’esecutivo più innovativo degli ultimi anni dovesse presto accantonare la via del dialogo e del confronto costruttivo per tornare a combattere sul terreno minato dello scontro e dall’aggressione continua, con tutte le drammatiche conseguenze che abbiamo già sperimentato e che vorremmo, dunque, lasciarci definitivamente alle spalle.

Ad aiutare Letta, poi, provvederà non solo il fermo e costante supporto del Capo dello Stato quanto, più che mai, la chiarezza dei punti che il suo governo dovrà portare avanti: crescita, sviluppo, rilancio dell’economia, creazione di nuovi posti di lavoro, abbattimento del tasso di disoccupazione, a cominciare da quella giovanile, rifinanziamento della cassa integrazione in deroga, salvaguardia degli esodati, rinvio e revisione della TARES, blocco dell’aumento di un punto dell’IVA che deprimerebbe definitivamente i consumi, riforma degli ammortizzatori sociali, tutela dei pensionati sotto i mille euro al mese e reindicizzazione delle pensioni sopra i millecinquecento, riforma della legge elettorale e riduzione dei costi della politica. Inoltre, se dovesse esserci tempo, quasi tutti i partiti sembrano essere d’accordo in merito al superamento del bicameralismo perfetto e all’introduzione del Senato federale, sul modello del Bundesrat tedesco.

Pertanto, nonostante preferissi un governo di scopo, con una data di scadenza fissata fin da subito onde evitare ulteriori fraintendimenti, analizzando attentamente la mole di lavoro da portare a termine mi sono reso conto che forse un anno potrebbe non bastare, a meno che il Parlamento non iniziasse a lavorare a tambur battente e il governo non trovasse al proprio interno l’armonia necessaria per cooperare al meglio per il bene del Paese.

Per quel che riguarda i nomi, infine, non c’è dubbio che Letta sia stato bravo, evitandoci il trauma di rivedere i peggiori ministri del governo Berlusconi di nuovo in sella e valorizzando, da entrambe le parti, energie giovani e fresche, tra le quali spiccano la campionessa olimpica Josefa Idem (ministro dello Sport) e Cécile Kyenge (ministro dell’Integrazione): simboli di un’Italia aperta, pulita e oramai multietnica al pari di tutte le altre grandi nazioni europee.

Da questo punto di vista, è bene porre l’accento su una grave leggerezza d’analisi compiuta da alcuni editorialisti. È vero, difatti, che il PDL, per offrire il proprio sostegno al governo, ha chiesto in cambio alcuni ministeri di peso (primo fra tutti quello degli Interni, ricoperto da Angelino Alfano); tuttavia, è altrettanto vero che il PD si è riservato alcuni ministeri fondamentali come lo Sviluppo Economico, l’Istruzione e la Cultura, tornando finalmente a puntare su quei temi sociali e culturali che un tempo caratterizzavano la sinistra e la cui sottovalutazione è alla base di tante dolorose sconfitte patite nell’ultimo decennio.

Poi, quando questa dolorosa e complessa esperienza si sarà conclusa, verrà il momento di tornare avversari e porre fine, una volta per tutte, alla triste stagione del berlusconismo. E allora, me ne sono convinto nelle ultime settimane, toccherà a noi, ossia alla generazione degli “sconfitti in partenza”, dei “giovani senza speranza” o semplicemente di coloro che hanno dovuto studiare nella scuola e nell’università della Gelmini e di Profumo, di coloro che hanno dovuto fare i conti con un mercato del lavoro precario, escludente e, spesso, privo di dignità e di coloro, infine, che hanno avuto il coraggio di ribellarsi a tutto questo, di invadere le strade e le piazze, di gridare pacificamente la propria rabbia e di far propria quella straordinaria battaglia per i beni comuni che per troppo tempo, anche a sinistra, è stata ignorata o considerata comunque secondaria.

Toccherà a noi ricostruire sulle macerie del ventennio tragico, toccherà a noi far sì che la parola lavoro torni a coincidere con la parola diritti, toccherà a noi innervare il progetto politico del Partito Democratico di un’ideologia adeguata alle sfide del nuovo millennio e toccherà a noi, in conclusione, tornare ad essere protagonisti del nostro tempo, accantonando le deleterie ideologie che hanno posto l’uomo al di fuori del processo di sviluppo.


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