Enigma democrazia

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Il ciclone cinquestellato che si è abbattuto sulla scena politica nostrana, “rischiando” quasi di spazzare una parte della vecchia partitocrazia, ha rimesso al centro del dibattito pubblico, anche qui in Italia, la riflessione e l’analisi sui risultati ottenuti, a livello planetario, dalla democrazia e dalle sue declinazioni nazionali.

L’ “emergenza democratica” e la montante protesta dal basso che reclama nuove forme e strumenti di democrazia diretta non riguarda, infatti, solo il nostro Paese travolto dall’exploit elettorale grillino, ma anche il resto dell’Europa e dell’Occidente come testificato dal successo, almeno comunicativo, di movimenti anti-sistema come quelli degli Indignados o di Occupy.

Al dibattito partecipa anche il teorico politico della Princeton University Jan-Werner Müller che nel suo ultimo libro, intitolato proprio “L’Enigma Democrazia” e tradotto da Einaudi, ricostruisce sinteticamente e lucidamente le complesse vicende del pensiero politico dell’Europa occidentale ed orientale, a partire dagli estremismi ideologici precedenti al 1945 e riportando alla luce innumerevoli personaggi e movimenti che, in alcuni casi, sono scomparsi, anche ingiustamente, dalla memoria storiografica.

L’opera è imponente per esaustività, profondità e precisione di analisi tanto da non poter mancare nella biblioteca di qualsiasi politologo ed essere destinata a diventare un importante riferimento pure per il circuito culturale e accademico italiano.

Per Müller, la democrazia, sino ad oggi, ha rappresentato la forma principale di giustificazione o legittimazione di massa adoperata anche dai regimi al potere: il fascismo o il nazismo, da una parte, e il comunismo sovietico o socialismo reale, dall’altra, si sono così presentati non come l’antidemocrazia, bensì, paradossalmente, come democrazie più compiute o autentiche delle altre. Per questo, oggi, più che mai, si impone un’analisi, a cui il professore di Princeton prova ad offrire il suo contributo, delle radici ambiguamente liberali delle istituzioni e delle pratiche politiche affermatesi nell’Europa del secondo dopoguerra sino ad esplorare e comprendere tutti quei movimenti e quelle espressioni che sono generalmente e globalmente etichettati come “antipolitica” e alle quali lo stesso Müller dedica l’ultimo capitolo del suo libro.


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