La7, la trama è un po’ cambiata ma il finale potrebbe essere lo stesso

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Quello che rischia di andare in onda su La7 è il remake di un film già visto nel 2001. Allora, pochi mesi dopo la vittoria di Berlusconi alle elezioni, la Telecom appena acquistata da Tronchetti Provera azzerò in fretta e furia, pagando penali e liquidazioni assai onerose, il progetto del terzo polo tv di Fazio, Giovalli e Lerner, che faceva perdere il sonno dalle parti del Biscione. Oggi la trama è un po’ cambiata, ma il finale potrebbe essere lo stesso: alla vigilia di una tornata elettorale che potrebbe porre le premesse per ridisegnare il mercato radiotelevisivo e scardinare il duopolio, c’è chi vorrebbe che alla spiccia Telecom cedesse La7, proprio quando, l’emittente rivitalizzata dall’informazione della sua redazione, da Mentana, Gruber e Santoro, dimostra di poter essere protagonista nel mercato televisivo.

Al di là della modalità della cessione, non scevra dall’ombra di intricati conflitti di interesse degli azionisti, la sua tempistica è davvero discutibile.
Perché vendere prima del voto una tv che dopo le elezioni potrebbe valere di più ed essere più appetibile, soprattutto se il responso delle urne fosse negativo per Berlusconi?
La7 sarebbe venduta così a un prezzo congruo, visto che le offerte finora arrivate sono lontane dalle attese dichiarate dai vertici di Telecom all’avvio della procedura di cessione?
Come mai Telecom mette in vendita oggi frequenze televisive (bene comune, demaniale, che lo Stato ha assegnato a La7 per svolgere la sua funzione pubblicamente rilevante) che tra non molto avranno un valore notevolmente superiore perché, secondo la legge, diverranno utilizzabili anche per la telefonia?
Gli interessati all’acquisto (Cairo, già stretto collaboratore di Berlusconi e oggi concessionario pubblicitario di La7, con un contratto per lui vantaggiosissimo e di lunga durata, e il Fondo Clessidra, guidato da Sposito, già dirigente delle aziende di Berlusconi) hanno un progetto industriale credibile per il futuro della Tv e un profilo in grado di garantire a La7 la libertà editoriale di cui ha goduto con l’editore Telecom?
Sono questioni che, evidentemente, non riguardano solo il futuro di un’azienda e dei suoi lavoratori, giornalisti e non.
In gioco ci sono principi cardine della democrazia liberale: la libera concorrenza, la trasparenza delle dinamiche finanziarie ed economiche, il destino di un bene pubblico importantissimo come l’etere, e, soprattutto, la libertà d’informazione garantita dall’articolo 21 della Costituzione.
Il prossimo governo non potrà non affrontare il nodo del pluralismo del sistema televisivo, già gravemente vulnerato dal conflitto d’interesse dell’ex premier –editore. Forse è con questa consapevolezza che i sostenitori della vendita-lampo e a ogni costo si stanno muovendo in queste ore.

* membro del Cdr La7


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