Chi ha ucciso Federico Aldrovandi deve continuare a indossare la “divisa infangata” della polizia?

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Federico Aldrovandi? Nient’altro che un “drogofilo”, lo ha definito pochi giorni fa in un comunicato il sindacato di polizia Coisp.  Nelle udienze del  processo di primo grado gli epiteti contro il 18enne “bastonato di brutto per mezz’ora” erano stati anche peggiori. “Credevamo fosse un extracomunitario”, aveva candidamente ammesso il capo pattuglia Enzo Pontani. Pontani sarà l’unico a non finire in carcere, salvo al momento per un errore di notifica. Il 26 febbraio, giorno della prossima udienza, difficile possa sfuggire all’ordinanza emessa dal tribunale di sorveglianza di Bologna che ha stabilito che gli altri tre colleghi  Paolo Forlani, Luca Pollastri e Monica Segatto debbano scontare in regime di detenzione il residuo di pena (sei mesi dopo che tre anni sono stati condonati con l’indulto). I difensori avevano chiesto le misure alternative,  in primis l’affido ai servizi sociali e in subordine gli arresti domiciliari. Istanze respinte e “le ragioni di servizio”,  impugnate come attenuanti dai condannati, vengono ribaltate dal tribunale tanto da apparire come aggravanti. Incensurati? Condizione doverosa per chi fa un mestiere del genere. Non solo:  Pubblici ufficiali, privi di predecenti disciplinari, sono infatti portatori di un ben diverso onere di lealtà e correttezza processuale, rispetto a un imputato comune, e avrebbero dovuto portare un contributo di verità, ad onta delle manipolazioni ordite dai superiori. Il non avere voluto squarciare il velo della cortina di manipolazioni delle fonti di prova, tessuta fin dalle prime ore … getta una luce negativa sulla personalità degli appellanti. Alla gravità della colpa – scrive ancora il Tribunale – si associano gli aspetti negativi più propriamente processuali con l’assenza di concreti segni di pentimento e di consapevolezza degli errori commessi, tradottisi in palesi menzogne e ostacoli all’accertamento della verità”.  Ci sono dunque fatti gravi, che portarono alla morte di un ragazzo che rientrava a casa, ma c’è anche una condotta iniziata già nelle prime fasi dell’inchiesta, a poche ore dalla morte di Federico, e proseguita durante tutte le fasi processuali e anche dopo. Come non ricordare le pesanti e irriferibili offese lanciate via facebook da Paolo Forlani alla madre di Federico subito dopo la condanna della Cassazione ?  “Tanto più gravi, sostiene il tribunale di sorveglianza, in quanto espresse da parte di appartenente alla Polizia di Stato”.  Resta ora da capire come questa condanna giudiziaria sancita non più da tre, ma quattro sentenze di tribunale, univoche e concordi, possa essere compatibile con chi esercita il ruolo di rappresentante  dello Stato. Gli agenti Forlani, Pollastri, Pontani e Segatto, pregiudicati dal 21 giugno 2012,  non hanno mai ricevuto nemmeno un giorno di sospensione, hanno sempre vestito la divisa e viene oggi da rinnovare in forma ancora più diretta la stessa domanda che da anni grava senza risposta nelle responsabilità e nei poteri del capo della polizia e dei ministri dell’interno e della giustizia che si sono succeduti:  ritenete coerentemente che anche dentro alle mura del carcere i tre uomini e la donna che uccisero Federico Aldrovandi debbano continuare a indossare la “divisa infangata” della polizia?


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