Gaza… A qualche km dal conflitto

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Gigi Bisceglia è da un anno a Betlemme, nella parte palestinese della città. Un cooperante che vive a circa cento km dai luoghi in cui si sta combattendo in questi giorni. Se l’eco dei razzi è lontana, molto vicina è la paura e la rabbia che Gigi testimonia. Uno dei tanti italiani che hanno scelto questi luoghi per la loro attività nel campo dei diritti umani. Lui lavora per il Vis (www.volint.it); coordina un master su Cooperazione e Sviluppo. Gli chiediamo di esprimere il suo parere, non quello del Vis, ma il suo, in merito al conflitto, alla condizione delle popolazioni in guerra. Niente mezze misure, anche per una persona come lui, abituato a ponderare e a ragionare, ad essere calmo. Gli chiediamo del muro e della condizione dei bambini. Poi gli domandiamo di indicarci un film e un libro per fare un po’ di chiarezza, per chi volesse risalire alle radici di questo conflitto. Come libro sceglie “Ogni Mattina a Jenin” di Susan Abulhawa. Le prime righe dicono “In un tempo lontano, prima che la storia marciasse per le colline e annientasse presente e futuro, prima che il vento afferrasse la terra per un angolo e le scrollasse via nome e identità, prima della nascita di Amal, un paesino a est di Haifa viveva tranquillo di fichi e olive, di frontiere aperte e di sole”. Un attacco che riassume tutto per la Palestina: terre che non ci sono più e confini blindati.

Quali sono gli sviluppi recenti del conflitto isralo-palestinese?
La situazione umanitaria nella striscia di Gaza continua a peggiorare di ora in ora. Gaza e’ una sorta di gabbia. In 400 km quadrati vivono più di un milione e duecentomila persone. La tregua è arrivata, dopo giorni di intensi raid israeliani.

Qual è il triste bilancio dei morti?
I dati ufficiosi parlano di oltre 150 morti e di almeno 1000 feriti tra i palestinesi. Tra questi circa 20 sono bambini. Nei giorni scorsi e’ stata sterminata un’intera famiglia (padre, madre e 5 bambini). Il 20 novembre, due bambini di 4 anni e di 18 mesi, sono stati uccisi a Beit Lahiya e due adolescenti di 15-17 anni a Rafah, vicino alla frontiera con l’Egitto. Intanto è salito a cinque il numero delle vittime israeliane.

Come sta reagendo la popolazione?
La gente qui in Cisgiordania e’ soprattutto sdegnata. Ha però paura a muoversi, spesso da una città palestinese all’altra, perché le strade non sono sicure e perché si e’ spesso costretti a stare ore in coda ai checkpoint israeliani.

Hai contatti con persone che sono nell’area del conflitto? Cosa dicono?
Attraverso Facebook leggo costantemente gli aggiornamenti di Michele Giorgio, il giornalista del Manifesto, che si trova a Gaza. Ascolto poi i racconti di un paio di mie studentesse che hanno le loro famiglie a Gaza City. Sono tutti spaventati perché non esiste un luogo sicuro/rifugio dove nascondersi. Tutti sono in balia dei bombardamenti. Tutti confermano che l’ospedale di Shifa a Gaza City e’ al collasso e che i feriti sono moltissimi.

Cosa ha fatto scattare il conflitto?
Nelle ultime due settimane erano aumentati sia il lancio di razzi su Israele da parte di Hamas, sia i bombardamenti mirati da parte di Israele. L’escalation vera e propria ha poi avuto inizio dopo la visita dell’Emiro del Qatar a Gaza.

I libri sono un conto la realtà un’altra. Che idea ti eri fatto dai tuoi studi prima di arrivare a Betlemme?
Durante i miei studi a Scienze Politiche ho frequentato un corso monografico sulla Storia del Conflitto Israelo – Palestinese. Ho capito come si e’ arrivati alla proclamazione di indipendenza dello stato di Israele e sono riuscito ad avere un’idea sui conflitti che si sono succeduti dal 1948 ad oggi. Ho capito che la Comunità’ internazionale voleva, in qualche modo, risarcire gli ebrei di tutto il mondo, che avevano subito l’onta dell’olocausto, donando loro uno “Stato-rifugio”.

Che idea ti sei fatto vivendo a Betlemme?
Arrivando qui, ho capito cosa significhi vivere in un territorio occupato militarmente (da ben 45 anni, ovvero dalla guerra dei 6 giorni del 1967). La Cisgiordania e’ tutt’ora un territorio occupato e mi sono reso conto del fatto che i poteri dell’Autorità Nazionale Palestinese, creata a seguito degli accordi di Oslo, sono troppo limitati. Anche la porzione di territorio amministrata dall’ANP e’ assolutamente esigua.

Sei a Betlemme dal lato palestinese del muro. Cosa divide questo muro? Cosa c’è dalla tua parte e cosa c’è dall’altra?
Si, hai ragione, io sono dal lato palestinese del muro. Ho la fortuna di avere un passaporto italiano e quindi non ho alcun problema a passare attraverso i checkpoint. I Palestinesi, invece, possono andare in tutto in mondo, ma per assurdo, senza un permesso speciale, non possono andare a Gerusalemme che dista solamente 6 km da Betlemme. La Cisgiordania e’ una gabbia (come Gaza) dorata. Le condizioni di vita sono generalmente buone, di certo nessuno muore di fame, ma i quasi 700 km di muro fanno parte della vita quotidiana di ognuno!

E dalla parte israeliana del muro?
Dall’altra parte, pur con tutte le problematiche annesse al conflitto, ci sono persone con molti più diritti (tra cui la mobilità) e che neanche immaginano come si possa vivere in Cisgiordania.

Il muro è riuscito a “contenere il pericolo attentati”, secondo la logica israeliana? Che giudizio hai del muro?
Nessuno crede che Israele abbia costruito il muro per motivi di sicurezza e per contenere il pericolo degli attentati suicidi. Anche la Corte Internazionale di Giustizia si e’ espressa in questo senso nel parere emanato l’11 luglio del 2004. Il governo israeliano ha deciso di costruire il muro per difendere gli insediamenti illegali israeliani costruiti sul territorio palestinese.

In che condizioni vive il popolo palestinese?
E’ difficile dirlo sai. Quel che penso e’ che tutti vorrebbero vivere in un vero stato e avere un vero governo. Un governo che possa battere moneta, avere una politica fiscale e infine un piano di sviluppo. Oggi invece vivono sospesi, non credono nella loro classe politica e ricevono miliardi di dollari di aiuti internazionali che li fanno vivere bene nel breve periodo, ma che non danno loro nessuna prospettiva per il futuro. Qui il principale problema non e’ la povertà estrema, ma  l’occupazione israeliana.

Tu, ieri, hai condiviso un post sul profilo facebook, un articolo dal titolo “Val la pena essere equanimi?”. Perché senti che ti rappresenti quell’articolo?
L’articolo che tu citi e’ stato scritto da Paola Caridi, una giornalista molto in gamba e competente che ha vissuto a Gerusalemme per più di nove anni. Come Paola anche io non penso che si possa “paragonare un razzo sparato da Gaza con un raid aereo su Gaza”. E non penso che abbia senso “soppesare gli oltre 800 razzi sparati da Gaza con gli oltre 1300 “obiettivi” colpiti dai caccia israeliani dentro la Striscia di Gaza”. “Non voglio più essere equanime, se l’equanimità significa ingiustizia” scrive Paola. Condanno SEMPRE ogni tipo di violenza e quindi tutta la mia solidarietà va ai cittadini israeliani che sono bersaglio dei razzi lanciati da Gaza, ma nello stesso tempo non posso non tener conto del fatto che a Gaza e’ in atto un vero e proprio massacro, perlopiù, come in ogni guerra, di vittime “civili” e in particolare di bambini.

Tu hai lavorato a fianco dei bambini per molti anni. Possiamo dire che anche qui, insieme alle donne sono i cosiddetti “effetti collaterali” di una guerra troppo lunga?
Assolutamente. Bambini e donne anche qui rappresentano i due gruppi più vulnerabili. Sia i bambini palestinesi, sia quelli israeliani nascono e crescono in un ambiente caratterizzato da violenza e odio reciproco. Sono in guerra da sempre e non sanno nemmeno cosa significhi poter vivere in un ambiente sicuro e sereno. Hanno un presunto nemico da combattere, ma spesso non conosco nemmeno quale sia la ragione. 64 anni sono già passati e bambini e giovani credo vorrebbero guardare al futuro.

C’è qualche spiraglio di luce nella risoluzione di questo problema che dura da decenni? Una strategia d’uscita?
Devo essere sincero, sono abbastanza pessimista. In questo momento la creazione di uno stato palestinese accanto a Israele (quello che di fatto prevedeva la risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 29 novembre 1947) e’ quantomeno difficoltoso dal momento che di potenziali Stati palestinesi ne esistono due, Gaza col governo di Hamas da una parte e la Cisgiordania con l’ANP dall’altra. Dovremmo prima passare attraverso una riconciliazione interna che appare assai difficoltosa.

Un libro e un film che oggi potremmo prendere per capire le ragioni di questo conflitto.
Sul libro non ho alcun dubbio, “Ogni Mattina a Jenin” di Susan Abulhawa edito da Feltrinelli. E’ un romanzo che spiega molto bene tutto quello che e’ successo dalla creazione dello stato di Israele in poi. Non e’ fazioso, anzi l’autrice che e’ palestinese, ma vive all’estero, e’sempre molto rispettosa nel raccontare i fatti.  Mentre come film proporrei “Il giardino di limoni” di Eran Riklis. La protagonista e’ una donna coraggiosa che vive in Cisgiordania e che lotta con tutte le sue forze per non rinunciare alla sua terra.

(L’immagine è un’opera dell’artista Fidia Falaschetti: “Beat Bad Wolf”)


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