Sallusti l’affaire-Betulla e oltre

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Enrico Mentana spiega perché chiama infame Renato Farina, Antonio Polito perché sta con l’ex agente segreto. Che succede alla stampa italiana? Quando i giornali (e i tg) giocano con le parole, e i giornalisti dimenticano la responsabilità sociale del loro mestiere

di Igor Staglianò*
Prima scena. Con i 130 caratteri di Twitter, giovedì scorso Enrico Mentana ha sintetizzato mirabilmente una notizia da prima pagina: la tardiva ammissione di Renato Farina d’aver scritto lui l’articolo infamante contro un giudice tutelare per il quale l’attuale direttore del Giornale è stato condannato a 14 mesi di carcere. Il giorno dopo il direttore del tg La7 ha dovuto però impiegarne 390 per spiegare anche ai suoi colleghi col mal di pancia perché ha definito «infame» l’ex agente Betulla (un giudizio che personalmente condivido, come ho già scritto nel post di venerdì 28 settembre). Scena seconda. Con un’intervista al settimanale cattolico Tempi.it, vicino a Comunione e Liberazione cui è vicino lo stesso Farina, Antonio Polito fa il controcanto a Mentana e si schiera a fianco del posticcio Dreyfus.

Che succede alla stampa italiana? Soffermiamoci su Polito. L’editorialista del Corriere della Sera si spiega così: «Difendo Farina che ha cercato solo di proteggere Sallusti da un’eventuale sanzione da parte dell’Ordine dei giornalisti». Un giro di parole che cancella i fatti e sfugge a un giudizio sull’ex giornalista recidivo, radiato dall’Ordine per aver violato più volte le regole deontologiche (ed anche — per quanto mi riguarda — quelle morali di qualunque persona onesta). Risultato? Un bel «trenino» transitivo, e un gran bell’esempio di scudo corporativo: Sallusti che protegge Farina, che difende Sallusti, che è compreso da Polito (già direttore de Il Riformista, nominato senatore da Rutelli per la ex Margherita), che — eccolo là — difende Farina.

Soffermiamoci, adesso, sulla parola «infame», usata da Mentana e giudicata troppo dura. Cito, al riguardo, la definizione ripresa integralmente dal sito circolidipensiero.myblog.it/. «Il significato che trovi nei vocabolari è: aggettivo, colui/colei che ha una pessima fama; in forma estensiva, turpe, scellerato, malvagio, cioè un traditore; in forma gergale (nel gergo della malavita), spia, delatore… Credo sia molto di più: l’infame è chi cattura la tua buona fede, in malafede (la sua), e ne manipola ai fini personali l’uso. L’infame è chi sfrutta le difficoltà altrui senza pudore, per speculare e trarre vantaggi per sé, l’infame è chi ti tradisce sapendo di farlo. L’infame è chi abusa dei deboli, nessuna forma esclusa. Anche i sistemi sociali, le aziende, la politica sono soggetti attivi di questo “essere”. L’infame è colui che ti espropria della tua dignità. Gli infami non hanno né regole, né onore».

Chiaro, no? Fate mente locale, allora, su cosa ha scritto Farina, l’arcorista anonimo — copyright di Mentana —, con la supervisione di Alessandro Sallusti. Ha fatto proprio quello che abbiamo appena letto sopra: ha «catturato la buona fede» dei suoi lettori; ha «tradito la fiducia» di chi pensava di leggere una notizia vera ed era un falso; ha «sfruttato le difficoltà senza pudore» di una ragazzina tredicenne e della sua famiglia alle prese con una maternità indesiderata. Farina-Dreyfus, infine, vi pare che abbia avuto «regole ed onore»? Inutile aggiungere altro. Deprimente è dover dire tutto questo e doverlo anche commentare.
Ora chiediamoci: quale demone s’è impadronito dei giornalisti italiani? Dovremmo essere il «sale della democrazia», il «cane da guardia del potere», il «quarto potere» — diventato anche il «quinto» con la televisione — e via definendo. Che fine ha fatto la responsabilità sociale del giornalista che implica in primis la regola essenziale di far corrispondere sempre le parole ai fatti? Una bussola che dovrebbe guidare chi scrive su un giornale d’informazione, e che dimentichiamo spesso a casa quando qualcuno pizzica in fallo la nostra casta. Non sarà anche questo a far crescere il discredito che coinvolge il giornalismo, accanto a quello più ampio che trascina verso il fondo buona parte delle classi dirigenti? Un’altra faccia del declino intellettuale dell’élite del nostro Paese, ecco cosa stiamo diventando a grandi falcate.

Solo qualche esempio di parole che non corrispondono ai fatti, per spiegarmi meglio. Dire e scrivere che l’Alcoa se ne va dalla Sardegna perché paga l’energia troppo cara, quando ha goduto di tariffe agevolate per anni, pagate con le bollette di tutti gli italiani (e per questo dovrà restituire 300 milioni di euro all’Europa), fa bene alla salute del giornalismo italiano? Dire e scrivere che a Taranto si muore di cancro come nel resto del paese (quando il 92% della diossina di tutta Italia è concentrata nell’ex capitale della Magna Grecia), rende credibile chi parla o scrive? Dire e scrivere che Sallusti paga per la libertà d’opinione sull’aborto di una tredicenne (quando persino Farina-Betulla-Dreyfus è costretto ad ammettere che ha affermato il falso), ci aiuta a vendere più copie e a prendere sul serio i nostri tg? Fa crescere, tutto questo, la consapevolezza dei cittadini sul paese in cui viviamo? Quanta acqua sporca e inquinata continua a scorrere dai rubinetti dell’informazione italiana, per riprendere la metafora del compianto Enzo Biagi. Meditiamo gente, meditiamo.

*tratto da http://www.igorstagliano.com


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