Paolo Bolognesi, Presidente dell’associazione familiari delle vittime: “Avere giustizia significa sapere la verità”

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di Beniamino Piscopo e Salvo Ognibene
Lo speciale della redazione di “Diecieventicinque” – Bologna

2 agosto 1980, dieci e venticinque, l’attimo che cambiò l’Italia. Una bomba esplode alla stazione di Bologna e provoca 85 morti, 200 feriti e una verità ancora parziale. Da alcuni anni nasce nella città un giornale fatto di giovani studenti che si chiama “Dieci e venticinque” racconta questa città ferita da quella bomba, racconta anche quello che accade oggi su quel territorio, dal malaffare, alle difficoltà economiche e sociali. All’ingresso delle mafie. Lo fa a partire dalla memoria di quel 2 agosto 1980 che è spartiacque non solo per Bologna ma per il Paese intero. Nel giorno in cui ricorre il trentaduesimo anniversario della strage, la redazione di “Dieci e venticinque” ha intervistato il presidente dell’Associazione familiari vittime della strage di Bologna, Paolo Bolognesi e dedica uno speciale (clicca qui per scaricare l’ultimo numero del giornale) all’attentato, ancora senza verità e giustizia.

La domanda che credo tutti si siano fatti ripensando al 2 agosto è “perché?”.

Creare una situazione di tensione, affinché l’opinione pubblica fosse orientata verso un blocco moderato. Noi abbiamo avuto un periodo piuttosto lungo in cui il regolare corso democratico del nostro paese è stato condizionato da stragi e terrorismo. Prima c’è stata la strategia della guerra rivoluzionaria promossa dall’istituto Pollio, quella che considerava qualsiasi metodo, anche il più  riprovevole,  lecito e giusto purché il partito comunista non andasse al governo . Poi c’è stata la strategia della loggia P2 che prevedeva lo svuotamento dall’interno delle istituzioni attraverso il controllo di quest’ultime: il cosiddetto “ piano di rinascita”. Non è un caso che nel periodo della strage di Bologna, tutti i vertici dei servizi fossero iscritti alla P2.

 Chi è stato?

Facciamo un discordo molto chiaro. In Italia ci sono state tredici stragi, escluse quelle di mafia. In tutte  non si è arrivati ai mandanti, in tutte abbiamo avuto i servizi segreti che hanno cercato di depistare, proteggendo gli esecutori materiali. In alcuni casi si è arrivati a trovare gli autori materiali  attraverso i collaboratori di giustizia. Una sola volta per via giudiziaria: nel caso della strage di Bologna. Ora, i vertici dei servizi sono nominati dalla presidenza del consiglio, quindi è lì che bisogna cercare i mandanti, quelli che hanno la responsabilità politica delle stragi. Una prova che non si sta parlando di fantapolitica ne è la trattativa tra Stato e mafia nei primi anni novanta, che oggi è ormai un fatto indiscutibile.

  Da allora la vostra fiducia nello Stato nel corso degli anni è diminuita o aumentata?

Per quanto riguarda noi, senza fiducia nelle istituzioni non avremmo nemmeno un senso da dare a quest’associazione. Con la nostra presenza e la nostra ricerca noi vogliamo dare una mano alle istituzioni. Un conto è lo Stato, fare valutazioni su chi ne ricopre le cariche è un altro.

 Qualcuno dice cinicamente che lo Stato non può condannare se stesso. Lei è d’accordo con questa affermazione?

Questa è un’affermazione generica che semplifica troppo le cose. Ricollegandomi al discorso di prima, io credo nelle istituzioni, la valutazione su chi ricopre le cariche è un altro conto.

Crede che un periodo difficile, pieno di tensioni sociali come questo, possa ricreare le condizioni che portarono alle stragi?

È un momento che può portare a rivivere situazioni molto tragiche. Ovviamente il quadro è molto diverso da allora, tuttavia oggi c’è un movimento tra i partiti e un rimescolamento che può scombussolare le carte, creare dei vuoti di potere a cui bisogna stare molto attenti. Inoltre oggi con la rete è molto più semplice organizzarsi.

Crede sul serio che potrà mai venire a galla la verità  sulle stragi?

Perché no? Noi ci proviamo. Ci impegneremo affinché  si rendano pubblici i documenti dei tribunali e continueremo a portare avanti la nostra battaglia per l’abolizione del segreto di Stato. Sono sfide proibitive ma se non ci provi non potrai mai vincerle.

Qual è lo scopo dell’associazione da lei guidata?

Avere giustizia, che per noi significa sapere la verità. Conoscere gli esecutori materiali è importante ma il cerchio si chiuderà  quando e se si arriverà ai mandanti. O arrivi a svelare e punire determinate azioni in via giudiziaria, oppure sei condannato a riviverle costantemente, senza arrivare alla parola fine su questa strategia che ha frenato lo sviluppo democratico del nostro paese.

Qual è la soddisfazione più grande che le ha dato il suo impegno nell’associazione?

Vedere che l’associazione è diventata un punto di riferimento a livello internazionale, anche per studiosi esterni. A volte capita che le ambasciate che hanno visto i propri concittadini coinvolti in incidenti qui in Italia, chiamino prima noi e poi il ministero degli interni.

Questo giornale si chiama “Diecieventicinque” perché crediamo che il modo migliore per evitare che simili fatti si ripetano sia conservarne la memoria. Lei vede questa consapevolezza nelle nuove generazioni?

Si, la vedo. Facciamo molta attività nelle scuole ed è  bello vedere i ragazzi reagire con partecipazione alle nostre iniziative. Penso anche alle commemorazioni che ogni anno celebriamo il 2 agosto qui a Bologna in ricordo della strage. Ogni anno di giovani ne vedo sempre di più e sempre più consapevoli. Lo considero un segnale importante: vuol dire voler esserci.

tratto da www.liberainformazione.org


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