Se la Russia imbavaglia la rete

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Mentre in Italia si è appena concluso il grottesco balletto di nomine per i vertici della RAI, con l’azienda appesa alle decisioni del Cavaliere “rieccolo” e dei suoi uomini, nella Russia dell’amico Putin hanno scelto di portarsi avanti col lavoro. La Duma (il Parlamento russo), infatti, ha votato un provvedimento che mette sotto controllo internet, così come avviene in Cina e in tutte le false democrazie sparse per il mondo.
Ciò è avvenuto nel silenzio quasi generale, come se questi temi non ci riguardassero da vicino, come se la libertà della rete non fosse una priorità assoluta, specie in un mondo sempre più globale e connesso, nel quale davvero un battito d’ali di una farfalla in Brasile può provocare un tornado in Texas. Ora, al netto dell’affascinante intuizione del matematico americano Edward Lorenz, pioniere della Teoria del caos, ci indigna assistere all’acquiescenza di numerose forze politiche, anche in ambito internazionale, di fronte a derive autoritarie delle quali, evidentemente, non si percepisce fino in fondo la pericolosità.

Bene ha fatto, a tal proposito, l’europarlamentare Debora Serracchiani a chiedere al ministro degli Esteri europeo, Catherine Ashton, di far sentire con vigore tutto il disappunto dell’Unione Europea nei confronti di un simile sopruso, ma abbiamo dei seri dubbi che il suo auspicio, che è ovviamente anche il nostro, avrà un seguito in un’Europa così tecnocratica e attenta solo ai vincoli di bilancio.
Questa è una delle circostanze nelle quali si avverte maggiormente l’assenza di un’unione politica, di una vera comunione d’intenti, di un’entità sovranazionale in grado di far sentire con autorevolezza la propria voce all’indirizzo di paesi che stanno compiendo un autentico scempio delle regole democratiche.

Non è la prima volta che accade, anzi. Basti pensare a quel che sta avvenendo in Ungheria, dove l’estrema destra sta facendo strame di tutti i diritti, a cominciare da quello all’informazione e ad una libera stampa. Basti pensare agli imbarazzanti silenzi che hanno avvolto per anni l’anomalia berlusconiana, considerata tale solo quando la sua permanenza al potere rischiava di far saltare l’intera Eurozona, aprendo così scenari apocalittici. Basti pensare a quanto poco spazio venga dedicato a questi temi dalle trasmissioni televisive e da quasi tutti i giornali. Basti pensare a tutte le volte che il conflitto d’interessi (di Berlusconi e non solo) è stato derubricato a questione secondaria perché prima vengono il lavoro, le pensioni e tutto il resto, senza accorgersi che un diritto non esclude gli altri e che non ha senso stilare classifiche di priorità perché i diritti vanno sostenuti, rivendicati e difesi tutti insieme, sempre, altrimenti è fin troppo semplice calpestarli e cancellarli uno dopo l’altro.

Come sempre, Articolo 21 ci sarà. E non saremo soli, come non eravamo soli lo scorso 11 gennaio sotto l’ambasciata ungherese, durante il sit-in di protesta organizzato dall’FNSI contro i gravi attacchi sferrati dal governo di Viktor Orbán al pluralismo delle opinioni e all’indipendenza dei giornalisti magiari; come non lo siamo stati nel corso della lunga battaglia contro l’ACTA, recentemente vinta grazie alla bocciatura della norma liberticida ad opera del Parlamento europeo; come non ci siamo mai sentiti soli nel decennio di lotta contro tutto ciò che il berlusconismo rappresenta, a cominciare dalla Legge Gasparri e dalle vicende cui abbiamo assistito in questi giorni nel servizio pubblico (anche e soprattutto a causa della Legge Gasparri).

Saremo al fianco di tutti i giornalisti, gli intellettuali, i blogger e i semplici cittadini russi che vogliono continuare ad esprimere liberamente le proprie idee. Ci saremo perché siamo convinti che ogni idea, comprese quelle che respingiamo con sdegno, debbano comunque avere spazio. Ci saremo, infine, per tener viva la memoria di Anna Politkovskaja e per denunciare con la dovuta fermezza il degrado morale di quest’epoca nella quale sembra che gli unici argomenti degni di attenzione siano lo spread e l’affidabilità economica dei singoli stati. Non è così, non deve essere così perché altrimenti il sogno di un’Europa unita e coesa, capace di opporsi alla barbarie e ai soprusi, rimarrà, per l’appunto, soltanto un sogno.


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