Ponticelli, garantire i cronisti significa favorire un clima di legalità

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Quando delle cose si parla i problemi si affrontano e si possono risolvere, sosteneva Pina Maisano, la vedova di Libero Grassi, divenuta simbolo dell’antimafia e appena scomparsa. Ecco perché parlare delle minacce e delle violenze subite da fotografi e telecineoperatori nel quartiere Ponticelli di Napoli, dove era appena avvenuto un duplice omicidio, non è un cominciare dalla coda o da un elemento a latere, rispetto alla tragedia di Gomorra, che quotidianamente si vive all’ombra del Vesuvio.

E’ chiaro che in un contesto dove regna la legge della sopraffazione non sia possibile fare appelli o indignarsi per la violazione della libertà di stampa. O meglio si può fare, ma è inutile. Se purtroppo vale poco la vita, figuriamoci uno dei suoi pur più importanti aspetti . Il destinatario di proteste e appelli non può che essere lo Stato. Le forze dell’ordine che intervengono sul luogo di un delitto devono sapere, proprio per quel che insegnava Pina Maisano, che garantire i cronisti significa favorire un clima di legalità che non potrà che dare frutti. La scorciatoia dell’invito ad allontanarsi per evitare litigi coi parenti delle vittime porta fuori strada. Hanno ragione i colleghi che hanno protestato.

Interessante in particolare la provocazione di Ciro Fusco, presidente dell’unione giornalisti informazione visiva: “Se i continui episodi di criminalità costituiscono fatti straordinari e gravi, bisognerà attuare misure di tutela come accade in zone di guerra, dove i reporter, per tutela personale, girano scortati”. Una scelta del genere certo la direbbe lunga sulla libertà di stampa nella terra di gomorra. Ma anche senza misure emergenziali, un’indicazione del Viminale a chi pur fra mille difficoltà opera su territori ad alto rischio sarebbe utile. E se c’è bisogno di più poliziotti e carabinieri, che li si inviino. Ma spallucce di fronte al diritto dei cittadini di sapere proprio no.


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