Matti da s-legare, oggi come allora

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“Una persona legata è offesa nella dignità, negata nella soggettività e nel diritto. Inerme, abbandonata e privata di qualsiasi difesa, perde la possibilità di contrattazione, di resistenza. Violata e mortificata, è ridotta a corpo domato”. Così scrive Giovanna Del Giudice, psichiatra e presidente della Conferenza permanente Franco Basaglia per la salute mentale nel mondo, nel libro …e tu slegalo subito. Sulla contenzione in psichiatria. E il pensiero va inevitabilmente al “corpo istituzionalizzato” di cui scriveva Basaglia quasi cinquant’anni fa ne L’istituzione negata, cioè al corpo del malato “oggetto di arredamento ospedaliero” al pari di chiavi, serrature e sbarre. O ancora, all’internato “isolato, segregato, reso inoffensivo dalle mura che lo rinchiudono […] distrutto dal potere dell’istituto” ne L’utopia della realtà.

La contenzione, sia meccanica con l’uso di mezzi coercitivi come lacci, cinghie e fasce, sia farmacologica mediante dosi massicce di psicofarmaci, è purtroppo largamente e drammaticamente impiegata ancora oggi nella pratica clinica nei servizi psichiatrici di diagnosi e cura degli ospedali, nelle carceri, nelle case di riposo per anziani, negli istituti per disabili, minori o tossicodipendenti, nelle case di cura, negli Opg ancora aperti e nelle Rems, come pure nei Centri di Identificazione ed Espulsione. Trattamento inumano e degradante assimilabile alla tortura (in un’Italia dove paradossalmente il reato di tortura non esiste), la contenzione viene spesso giustificata come necessaria in nome dei soliti stereotipi della pericolosità sociale o riletta persino a scopo terapeutico. Come “necessarie” e “terapeutiche” erano considerate un tempo violenze come le camicie di forza, la gabbia a rete, la “strozzina”, gli elettroshock, i coma insulinici, ecc.

A sposare la causa dell’abolizione delle pratiche di contenzione è la campagna nazionale …e tu slegalo subito, promossa dal Forum Salute Mentale e sostenuta da numerose altre associazioni, che sarà presentata ufficialmente a Roma giovedì 21 gennaio in una conferenza stampa prevista per le ore 14.30 presso la sala del Senato Santa Maria in Aquiro. «L’idea è nata in occasione dell’incontro nazionale del Forum Salute Mentale che si è tenuto a Pistoia lo scorso giugno 2015, sulla scia di un intenso dibattito sulla gravità della contenzione poiché violazione dei diritti fondamentali e della dignità della persona, nonché pratica assolutamente antiterapeutica», ha dichiarato Vito D’Anza, portavoce nazionale del Forum Salute Mentale e direttore del Dipartimento di Salute Mentale di Pistoia. «La contenzione riconferma brutalmente l’oggettivazione del corpo malato, lo ferisce e lo umilia, violandone l’integrità fisica e psichica. E ripropone la violenza dell’istituzione totale, così come l’abbiamo conosciuta storicamente nei vecchi manicomi, e le contraddizioni irrisolte di una psichiatria che confonde ancora oggi la cura con la custodia».

Si racconta che quando veniva chiesto a Basaglia come fosse opportuno comportarsi davanti a un uomo legato, lui rispondeva «e tu slegalo subito» e invitava ad assumersi la responsabilità della presa in carico del paziente e del suo processo di cura nella libertà, nell’ascolto e soprattutto nel pieno rispetto dei suoi diritti fondamentali in quanto essere umano, e non cosa tra le cose. Da qui lo slogan della campagna. «È dal rispetto della dignità che nasce l’idea stessa di terapia», ha ribadito persino il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione della Giornata Mondiale della Salute Mentale, lo scorso 10 ottobre 2015. Parole ovvie. Ma “finché la sopraffazione e la violenza sono ancora il leitmotiv della nostra realtà, non si può che usare parole ovvie”, spiegava Basaglia nella Postfazione di Asylums di Erving Goffman.

E davanti alle vicende terribilmente assurde e dolorose di Giuseppe Casu, morto il 22 giugno 2006 nel reparto di psichiatria dell’ospedale di Cagliari, dopo essere stato legato al letto per una settimana, e di Francesco Mastrogiovanni, morto nel servizio psichiatrico di Vallo della Lucania il 4 agosto del 2009, dopo quattro giorni di abbandono e contenzione, senza acqua, né cibo né cure di alcun tipo, le “parole ovvie” non possono che essere quelle della denuncia e dell’indignazione. Queste storie di uomini crocefissi nel letto di contenzione dimostrano tragicamente che la contenzione, meccanica e farmacologica, è una pratica che non ha nulla di terapeutico, al contrario viola i diritti basilari di ciascuno di noi, garantiti (teoricamente) dagli articoli 13 e 32 della Carta Costituzionale in materia di libertà personale, salute e volontarietà delle cure, senza dimenticare nello specifico di servizi e trattamenti sanitari della malattia mentale la Legge 180 del 1978, che ha visto l’abrogazione della 36/1904 e ha giocato un ruolo fondamentale nel progressivo processo di deistituzionalizzazione verso una salute mentale di comunità.

Con particolare riguardo alle forme di contenzione meccanica, che più sollevano riserve dal punto di vista etico e giuridico, si è espresso lo scorso 23 aprile 2015 anche il Comitato Nazionale per la Bioetica, che ha definito la contenzione come “un residuo della cultura manicomiale” e ne ha  condannato “l’attuale applicazione estensiva”, sottolineando la pesante mancanza di “un’attenzione adeguata alla gravità del problema, né da parte dell’opinione pubblica né delle istituzioni” e ribadendo che “il superamento della contenzione è un tassello fondamentale nell’avanzamento di una cultura della cura”. Nel libro di Giovanna Del Giudice, si legge ancora: “La cura ha come ineludibile precondizione il riconoscimento dell’altro come soggetto, come cittadino, come persona. Deve rappresentare il momento più alto e difficile di un incontro, di uno scambio, di un ascolto. Non può che avere come scopo la promozione della soggettività e l’avvio di processi di emancipazione. La contenzione è la negazione di tutto ciò”.

Questa la drammatica situazione denunciata dall’appello della campagna nazionale …e tu slegalo subito. Un documento dai toni duri, come dura è la realtà a cui fa riferimento, che propone con forza l’obiettivo “urgentemente necessario, se non semplicemente ovvio” (come un tempo fu la distruzione del manicomio) dell’abolizione della contenzione. Tutti ne siamo destinatari, non solo gli addetti ai lavori, nessuno può chiamarsi fuori da una battaglia che è di dignità prima ancora che di giustizia.

«Legato come un salame per giorni interi. Fa quasi sorridere se non ci fosse da piangere»: con una breve battuta Massimo, un ragazzo internato nell’Opg di Reggio Emilia, racconta con estrema lucidità e amarezza la sua esperienza di contenzione, intervistato nel film Lo Stato della follia di Francesco Cordio. Massimo non è morto, come Giuseppe Casu e Francesco Mastrogiovanni, legato a un letto di contenzione, ma la violenza della coercizione l’ha conosciuta bene, ed è morto perché tali torture lo hanno ucciso umanamente dentro, prima ancora di ucciderlo fisicamente fuori. Sono crimini di pace che si ripetono, oggi come ieri, null’altro che “forme di tortura in flagrante violazione dei fondamentali diritti umani” come scrive anche Eugenio Borgna in La dignità ferita.


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