La nuova Rai: un dipartimento
della Presidenza del Consiglio

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Ieri il Senato della Repubblica ha approvato in via definitiva, in un clima prenatalizio caratterizzato da una malcelata indifferenza, la legge che disciplina l’assetto di vertice della Rai. Una brutta legge che non affronta i nodi principali dell’assetto radiotelevisivo pubblico e che disegna la nuova Rai come una sorta di Dipartimento della Presidenza del Consiglio.

I principali quotidiani hanno relegato la notizia nelle pagine interne e molti di loro, per renderla attraente, hanno ritenuto di “condirla” con la previsione economica del gettito del nuovo canone (+420 milioni) riscosso in bolletta e derivante da un’altra legge (quella di Stabilità). Una sorta di eterogenesi dei fini.
L’assimilazione del nuovo assetto Rai con quello di un Dipartimento della Presidenza non deve suonare affatto dispregiativo né per la Pubblica amministrazione, né tanto meno per gli uomini e le donne chiamati a guidare la Rai. Innanzitutto perché ci sono dipartimenti della PA di primissima qualità retti da eccellenti “servitori dello Stato” che meritano la massima ammirazione e che “governano” importanti, anzi, decisivi settori della vita del paese. I nuovi vertici della Rai e in particolare la Presidente e il DG, ora ribattezzato AD, hanno “curricula” di tutto rispetto e certamente governeranno al meglio la radiotelevisione pubblica nei prossimi anni.

Il problema è un altro. Non è qui in discussione la capacità delle persone, ma la bontà di un assetto. La predisposizione o meno di “regole” adeguate per governare una televisione pubblica in una fase di transizione estremamente delicata.
Le parole chiave, i principi, che dovevano essere declinati dalla legge sono tra i più impegnativi: autonomia, indipendenza, pluralismo. Questi principi non rappresentano qualità individuali, ma devono essere assicurati, garantiti dal disegno della struttura. In questa legge proprio non si vedono. Nessuno chiede ad un Dipartimento dello Stato di assicurare questi valori, ma alla televisione pubblica si.

Si provi a dare un’occhiata all’assetto dei principali paesi europei e si faccia un confronto serio e leale: mi permetto di dubitare che si possano trovare analogie con il modello italiano.
Naturalmente auguro a chi governerà la Rai di questi anni i migliori successi, ma credo che questo difetto d’impostazione peserà non poco nella vita successiva dell’azienda. La complessità sociale esiste, soprattutto nel campo delle idee ed esiste la necessità di governarla con regole appropriate. Una cosa è certa: questa complessità non potrà mai essere eliminata per legge. La dipendenza dal Governo, la semplificazione decisionale, la concentrazione dei poteri in questo campo più che vantaggi costituiscono degli handicap. Posso sbagliarmi, ma guardandomi intorno non credo proprio!


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