Il bambino sulla spiaggia e le finestre sbarrate. Cosa può davvero questa foto?

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Io non l’ho postata la foto di quel bambino con la maglietta rossa. Non l’ho fatto e sono stato a guardare. L’ho vista riprodursi e ripetersi e ho cercato di capire se sarebbe davvero riuscita a correre e a soffiare come il vento, se sarebbe stata capace di spalancare le porte e le finestre tirandosi dietro gli umori e gli sguardi e l’attenzione. Aspetto ancora di capire e di vedere cosa può davvero quella fotografia. Altre fotografie non hanno potuto fare molto. Documentare è essenziale per capire e per riuscire a vedere. Serve sempre a scuotere, a svegliare dal torpore. Ma cosa è che ci scuote di quella foto che altre non hanno potuto? Io ricordo il respiro affannoso di un bambino con la pancia gonfia e le mosche intorno al naso. È un bambino nero, lontano che veniva vicino grazie a quel respiro, quell’ansimare più forte dell’immagine stessa. È uno spot fatto per scuotere, per svegliare. Si prefigge un primo risultato immediato che consiste nel premere un tasto con su scritto “dona”. Un risultato che certamente è riuscito a raggiungere, magari anche migliaia di volte.
Quella foto del bambino sulla spiaggia non ha lo stesso fine. Ne ha uno più grande, vuole spalancare porte e finestre, vuole arrivare dove prima non arrivava il vento.
Ricordo altre foto che avevano questo scopo come quelle delle tre bare bianche con gli orsacchiotti di peluche della strage di Lampedusa. Di fronte a quella immagine i potenti d’Europa hanno ripetuto a lungo che non sarebbe mai più successo.
Tra pochi giorni saranno passati due anni da quei giorni di ottobre e ci troviamo di fronte ad altre fotografie ancora più crude, più violente, capaci di schiaffeggiare, e in quelle foto riponiamo la speranza che siano capaci di raggiungere un risultato concreto, che sappiano fermare la morte dei bambini che annegano in mare.
Chissà se davvero riesce a tirarsi dietro gli umori e gli sguardi e se riuscità a spalancare porte e finestre quella foto. Perché questo è un mondo capace di masticarle quelle immagini e di produrne migliaia più violente con il significato opposto, che vogliono serrare porte e finestre per non fare entrare nessuno, neanche il vento.
Qualche giorno fa è stato denunciato un ragazzo di venti anni per istigazione all’odio razziale. Scriveva menzogne e le pubblicava su internet. Disegnava con le parole immagini terribili di “negri stupratori di bambine”. Fatti mai accaduti, completamente inventati, ma capaci di far scattare la serratura delle porte e delle finestre. Quelle storie fasulle si moltiplicavano su internet, sui social, e guadagnavano centinaia di click, di “mi piace”. L’obiettivo del ragazzo era proprio questo: ogni click per lui erano soldi che derivavano dagli sponsor della sua pagina di menzogne. Una macchina bugiarda e devastante che riusciva a raccogliere consenso a pacchi.
È in questo contesto che naviga la foto di quel bambino con la maglietta rossa.
Ho visto un altro bambino recentemente. Nella piazza della stazione di Budapest insieme a migliaia di persone che cercano di prendere un tremo per l’Europa, diceva parole essenziali con l’aria stanca di chi ha camminato a lungo: “se fermate la guerra in Siria, nessuno di noi vorrà più venire in Europa. Fate semplicemente questo, fermate la guerra in Siria e noi torniamo a casa nostra”. Non ho sentito parole più semplici fino ad ora. Parole che forse sanno disegnare uno scenario più forte della compassione e dello strazio che suscita un bambino morto.
C’è un’altra fotografia che dovrebbe suscitare una reazione forte. È la fotografia di un viceministro italiano sorridente, seduto accanto ad Isaias Afewerki, dittatore eritreo. Scattata recentemente, segna la riapertura dei rapporti diplomatici tra Roma ed Asmara che hanno l’obiettivo dichiarato di fermare i flussi migratori in uscita da quel paese, scappano cinquemila ragazzi al mese dall’Eritrea. Un paese dove “governa la paura” è scritto in un rapporto delle Nazioni Unite che è costato minacce e l’adozione di una scorta per i membri della commissione. Forse quella fotografia diplomatica che nessuno ha commentato, avrebbe potuto e dovuto produrre un effetto concreto, una reazione capace di scuotere e svegliare dal torpore soprattutto se legata alla notizia che l’Europa intende concedere al regime eritreo 300 milioni di euro in “aiuti allo sviluppo”. Significa che aiutiamo lo sviluppo di un paese governato da un dittatore sanguinario e gli chiediamo di fermare chi scappa dal suo regime e, allo stesso tempo, salviamo dal mare i superstiti dei naufragi.
Forse questa fotografia dovrebbe scuotere davvero, dovrebbe svegliare dal torpore e le porte e le finestre dovrebbero davvero riuscire a spalancarsi.
Almeno per chiedere spiegazioni e capire dove inizia tutto questo e cosa, realmente, possiamo fare per fermarlo.

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