Guardare al futuro significa coltivare la memoria e ciò equivale a dire la verità sulle stragi, significa continuare a chiedere giustizia anche in un Paese dove la classe dirigente fa fatica a pronunciare la parola neofascista in relazione alle stragi. Attorno a questo concetto si è snodato l’appuntamento organizzato da Articolo 21 presso la sede di Libera a Roma che ha ospitato lo straordinario spettacolo-evento “Io so”, monologo di Elena Ruzza sugli anni più bui della Repubblica, sui depistaggi, su Pinelli, sul golpe borghese, sulle scie nere e fasciste che hanno condizionato un periodo troppo lungo fantasmi che adesso aleggiano sulla realtà contemporanea.
E’ stato un pomeriggio che a tratti ha tolto il fiato. La voce calma e saggia di Manlio Milani ha aperto lo spazio dedicato alla riflessione sulle stragi con impronta neofascista. Le sue parole sono pezzi di una storia che ancora non siamo riusciti a spiegarci. Parla della sua Brescia, spiega il significato dell’attentato di piazza della Loggia e cosa è rimasto dopo, ai sopravvissuti a chi si è preso i carico di tenere viva la memoria. Siamo a poche ore dall’anniversario della strage di piazza Fontana, l’evento tragico che sconvolse il Paese eppure adesso la classe dirigente pensa ad altro. Non vuole ricordare. ” La Presidente del Consiglio è occupata a parlare di cucina nell’antivigilia dell’anniversario di piazza Fontana”, dice il Presidente di Articolo 21 Paolo Borrometi che di morti ammazzati nella strategia mafiosa del terrore si è tanto occupato e vive sotto scorta da anni per aver scritto “troppo” di mafia.
Il filo conduttore della serata è unico, condiviso. In apertura la portavoce di Articolo 21, Elisa Marincola, ricorda Sergio Flamigni e il “grande contributo che ha dato alla costruzione di questa democrazia, da partigiano e da uomo impegnato in politica ha costruito l’inchiesta sulle stragi attraverso le Commissioni parlamentari, mettendo su un archivio che ora ci consente di capire e di coltivare la memoria”. A seguire Beppe Giulietti, coordinatore dei presidi di Articolo 21 sottolinea quanto, in questo momento, sia attuale ricordare le stragi e la strategia della tensione e quanto sia pericoloso il neofascismo dilagante, anche a proposito del referendum sulla Giustizia: “Articolo 21 sarà presente nella campagna referendaria perché non è una cosa che riguarda solo i giudici. Come Articolo 21 abbiamo aderito dal primo momento. Guai distrarsi in questo momento, una distrazione si trascina dietro tutto e in questo referendum l’oggetto non è il referendum ma la democrazia. Chiediamoci perché, casualmente, sono finiti sotto tiro in questi mesi o sotto spionaggio o sotto bavaglio o destinatari di minacce alcuni giornalisti e… tutti indagavano sul delitto Moro, sul delitto Mattarella, sul rapporto Stato mafia, sulle stragi. E’ un caso che entrino nel mirino questi cronisti?”.
“Molti reputano la memoria un esercizio sterile e invece l’unico modo per guardare il futuro è coltivare la memoria. – ha detto Paolo Borrometi – La verità è che nel nostro Paese noi copriamo ancora oggi poteri indicibili come P2, Servizi (quelli che facevano il loro dovere iniziato con convegno del 1965 dove si teorizzava la strategia della tensione). Ricordiamo che l’85% degli attentati sono stati di matrice fascista. In quel convegno al Parco dei Principi, organizzato da un’associazione neofascista fra i tanti c’erano Guido Giannettini, Stefano Delle Chiaie, Pino Rauti, il padre della sottosegretaria alla difesa del nostro Paese. Questo è un Paese dove il 2 agosto la classe dirigente che ora governa non ha il coraggio di pronunciare la matrice neofascista, questo è accaduto e noi questa storia abbiamo il dovere di raccontarla”. Nel corso della serata è stato attribuito il premio di Articolo 21 a Luchino Chessa, presidente dell’associazione dei familiari delle vittime della Moby Prince, atra storia tragica di depistaggi e verità costruite a tavolino smascherate dalla battaglia delle famiglie. “Ringrazio Articolo 21 – ha detto Chessa – perché ci avete aiutato a portare avanti la nostra battaglia che purtroppo non ha ancora visto il riconoscimento della strage. Quello della Moby è sempre stato considerato un errore e ciò ha influito molto sull’attenzione dei media e dell’opinione pubblica. Si parlava di un banale incidente, peccato che non è stato così; se non avessimo avuto giornalisti che ci hanno aiutato ad andare avanti non ne saremmo usciti, ci sentivamo in una sorta di limbo con le istituzioni che nemmeno ci hanno considerato, le prime due sentenze ci hanno distrutto”.

