Legalità e convivenza contro le mafie: questo è la Casa del Jazz di Roma. Che compie 20 anni

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Viale di Porta Ardeatina 55, a Roma, separa Via delle Terme di Caracalla dalla Colombo, guardando  le Mura Aureliane. Ci sta Villa Osio, più altri due edifici, su due ettari e mezzo di parco. Ci sta la Casa del Jazz, che ha compiuto nei giorni scorsi vent’anni. Entrando, però, si capisce subito che quello straordinario luogo di vita, musica e cultura ( un edificio ospita anche l’Associazione “0ssigeno per l’Informazione”), è stato anche altro. A farlo intuire è una stele di marmo, proprio all’ingresso, con quasi settecento nomi. Sono di donne e uomini vittime innocenti delle mafie. Personalità che stanno nella memoria e nel patrimonio collettivo civile del Paese, magistrati e giornalisti coraggiosi e uomini delle scorte, carabinieri, uomini politici e religiosi, donne che hanno avuto la forza di ribellarsi al giogo di schiavitù familiare e ambientale. E che per questo hanno perso la vita. Cioè per tutti noi. La stele, con quel rosario di nomi,  fa intuire che quel luogo è stato altro. Era stato, infatti, il quartier generale di Enrico Nicoletti, cassiere della Banda della Magliana,  associazione criminale tra le più feroci e pericolose, protagonista di imprese intrecciate con mafie, settori della politica e dei servizi, pezzi di Stato anche esteri, protagonista di molti misteri e delle più efferate imprese tra gli anni Settanta e i primi anni Novanta. In seguito allo smantellamento e alla frantumazione di quella banda, la villa venne sequestrata dallo Stato e confiscata, sulla base delle leggi nazionali che trassero origine dalle intuizioni di Giovanni Falcone e dell’impegno parlamentare di Pio La Torre con Virginio Rognoni. Era il 2001, Walter Veltroni era diventato sindaco di Roma da qualche mese. L’allora responsabile dell’Agenzia dei Beni Confiscati, Margherita Vallefuoco lo invitò insieme a Don Ciotti a compiere un sopralluogo presso quel patrimonio confiscato. Fu lì che a Veltroni venne l’idea,  nel contrasto tra la bellezza del luogo, quel verde e il trionfo di un kitsch volgare e arrogante, tanto più insopportabile per la provenienza criminale di quegli ori, quelle sculture, quel mobilio e quelle vasche idromassaggio ( abituate e vedere scorrere più sangue che acqua ). L’idea era quella di trasformare quel luogo di morte in luogo di vita e di cultura, di musica. Fu lì che nacque la Casa del Jazz. L’assegnazione al Comune ebbe tempi rapidi. Nel giro di un paio d’anni vennero reperite le risorse, compiuti lavori di riqualificazione e ristrutturazione del parco e degli immobili, allestite le sale per concerti, convegni, mostre;  le sale di registrazione, bar e ristorante, spazi per le associazioni e preparati gli spazi per i concerti all’aperto. L’inaugurazione, iniziata nell’aprile 2005, fu bella e commovente. Con Veltroni e Don Ciotti c’erano i familiari delle vittime di mafia. C’era Nando Dalla Chiesa e c’era Franco La Torre. E in quei giorni a celebrare e festeggiare quel risultato civile e culturale vennero i più significativi nomi del Jazz: ricordo Danilo Rea e Paolo Fresu, Enzo Pietropaoli e Stefano Di Battista, Dino Piana e Roberto Gatto. C’era Luciano Linzi, naturalmente, primo direttore della Casa del Jazz ( tornato da qualche tempo a Viale di Porta Ardeatina, intervallando esperienze di grande livello europeo, da Umbria Jazz e JazzMi ).
Se ricordiamo quei giorni emozionanti, quegli anni – come ha fatto anche l’altro giorno il Presidente  Mattarella nel messaggio per i vent’anni della Casa del Jazz – non è solo per tenere viva la memoria. È perché quell’esperienza ci parla di oggi. Ci dice che lo Stato intero può – in un rapporto virtuoso con i Comuni e altre istituzioni – confiscare beni alle mafie, assegnarli, concordare risorse, riutilizzare quei beni, farli funzionare al meglio. È stato fatto, va fatto oggi, velocizzando le procedure, dando ai Comuni le risorse necessarie per ristrutturare e far rivivere e gestire luoghi e beni confiscati. Sostenendo sul mercato imprese di vario tipo sequestrate, confiscate aiutandole a trovare competitività e futuro nel rispetto delle regole e della trasparenza. Ci dice che è giusto riempire quei luoghi che hanno conosciuto violenza, sopraffazione, con vita, vitalità culturale, attività sociali. Che poi tutte queste cose significano legalità, convivenza civile e sociale, comunità. La Casa del Jazz di Roma è stata ed e tutto questo.

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