D’ora in poi, per me, la Resistenza avrà per sempre il volto di Sandra Gilardelli. Non è la prima partigiana che intervisto, ma quest’incontro mi ha sconvolto. Per bellezza, intensità, lucidità, perché cade in occasione dell’ottantesimo anniversario della Resistenza e perché ci rendiamo conto di quanto sia necessario tenere alta questa bandiera in un mondo pervaso dai fascismi.
Sandra che confessa, a me e alla bravissima collega Jessica Chio del Corriere della Sera (con cui ha scritto “La staffetta senza nome. Autobiografia di una partigiana”, Solferino editore), che quando parla di questi temi si rianima incarna il significato profondo di quella lotta che, nonostante nei momenti di sconforto possa sembrarlo, non è stata vana.
Un secolo di vita e l’animo di una ventenne, lo spirito di una sognatrice, gli ideali della gioventù ancora ben saldi, la coerenza dei pensieri e delle idee e un consiglio, straordinario, che porterò sempre con me: “Sii te stesso”.
La nostra professione, del resto, di fronte a tanta grandezza, ritrova la sua nobiltà. Perché, in fondo, a cosa serviamo se non a raccontare storie, rievocare ricordi, tenere viva la memoria? Che senso ha vivere senza passioni, senza politica, senza qualcosa che ci induca a dare il massimo in ogni circostanza?
Come ha detto Sandra nel suo libro: “No, non era coraggio. Era incoscienza. Era un ideale. Se dovessi pensare al coraggio, credo che su in montagna ci sarebbero saliti in pochi. Lo abbiamo fatto perché avevamo qualcosa da raggiungere”. La libertà, per l’appunto: una missione che può valere una vita e le dà un senso.