Bentornati! Oggi faremo un piccolo tuffo nel passato…
Come forse ricorderete, infatti, nel mio primo articolo avevo parlato dell’importanza di riportare la cultura a Latina, analizzando le principali problematiche della città in merito e con una certa disillusione. Ebbene, a distanza di un paio di mesi, sono qui per riprendere l’argomento con uno spirito tutto nuovo!
Ieri, venerdì 2 maggio, Latina si è infatti distinta con un evento culturale di grande portata, ospitando nella sede di palazzo M la dozzina di finalisti candidati al Premio Strega 2025!
Si è trattato della serata di chiusura della decima edizione del festival Lievito che, dal 2012, cerca proprio di portare la cultura nella nostra città come occasione di incontro e dialogo. Il direttore artistico, Renato Chiocca, ha dunque spiegato che è proprio per celebrare il ricordo di quella prima e lontana edizione, rassegnata da Antonio Pennacchi che con il suo canale Mussolini ha reso Latina uno spazio letterario, che si è voluti ripartire dall’inizio, ospitando gli scrittori che oggi possono raccogliere quel testimone.
Così, dopo una breve apertura della bravissima orchestra di percussioni del liceo musicale Alessandro Manzoni, diretta dal professor Salvatore Campo, si sono uniti alla folla i dodici finalisti:
Valerio Aiolli, Saba Anglana, Andrea Bajani, Ervio Carrieri, Debora Gambetta, Wanda Marasco, Renato Martinoni, Paolo Nori, Elisabetta Rasy, Michele Ruol, Nadia Terranova e Giorgio van Straten!
Con l’aiuto del giornalista e presentatore Marino Sinibaldi abbiamo subito rotto il ghiaccio con gli scrittori, indagando su quali fossero i sentimenti e le emozioni con cui si trovavano lì. Gioia e gratitudine sono state le risposte più quotate ma anche panico e incredulità nel caso di Elvio Carrieri e Debora Gambetta che con ironia hanno affermato di “non sapere cosa ci facessero lì”.
Ognuno di loro ha poi raccontato qualcosa sul proprio libro, permettendoci di entrare nel vivo delle storie e nei curiosi retroscena che hanno portato alla loro stesura.
Valerio Aiolli afferma che il suo “Portofino blues” trae origine da un fatto di cronaca del 2001, quando la contessa Francesca Vaccagusta scompare per poi venire ritrovata, morta, in mare. Racconta che sia stata una coppia di amici a suggerirgli di guardare quella storia con maggiore attenzione e che sia bastata una giornata di ricerche per capire di volerla riportare alla luce. Attraverso le vicende delle persone coinvolte, infatti, ha voluto indagare come ci siamo mossi noi come identità nazionale negli ultimi cinquant’anni, narrando dall’interno cose di cui generalmente vediamo solo l’esterno.
Saba Anglana, invece, con “La signora meraviglia” ci porta una duplice storia di migrazioni e tragedie, priva di vittimismo e anzi colma dell’ironia che la contraddistingue. “Siamo tutti nati da traumi, scriviamo per superarli” afferma “È bello cominciare questo viaggio nel cuore di questa M, rilanciamo un futuro di rappacificazione!”.
E come non essere d’accordo?
Andrea Bajani, poi, con “L’anniversario” ci regala una storia a metà tra la sopraffazione e la liberazione, “la storia di un diritto” afferma. Il diritto di un figlio, di un uomo, di rifiutare l’eredità di essere maschio nella maniera patriarcale. L’anniversario che si celebra, dunque, non è quello di una unione ma di una rottura.
Il giovanissimo Elvio Carrieri con il suo “Poveri a noi” ci dona invece la storia di una colpa indagata attraverso le relazioni. Una storia di bullismo che poi diventa amicizia, la storia della colpa che “il cittadino di Bari non sa di provare verso la propria città”.
Debora Gambetta con “Incompletezza: una storia di Kurt Godel” ci racconta di aver incontrato questo scienziato matematico per caso, in un momento in cui nella sua vita tutto era fermo ed era appena uscita distrutta da una relazione.
“È stato un rifugio nel mio vivere senza stimoli. Il fatto che fosse un ossessivo come me mi ha richiamato e mi sono innamorata dei suoi lavori prima che della sua vita. Non conoscevo nulla di quel mondo ed entrarci è stata una sfida. Ho deciso di raccontare la sua testa e per farlo ho dovuto studiare molto. Non pensavo di scrivere un libro né di pubblicarlo ma sono contenta che questo libro sia nella dozzina perché è un personaggio poco conosciuto che merita di affascinare gli altri”.
Wanda Marasco ha scritto “Di spalle a questo mondo”, una storia di vita, quella di Ferdinando Palasciano e di sua moglie Olga, ma soprattutto una storia di follia. Ferdinando, infatti, si innamora dell’idea che la morte possa essere sconfitta e ne fa un’ossessione.
“Mi affascina molto il tema della follia, è presente in tutti i miei romanzi. Per me le storie non sono che un alibi per indossare maschere e raccontare la dimensione della natura umana”.
La follia fa da padrone anche nel libro “Ricordi di suoni e di luci: storia di un poeta e della sua follia” di Renato Martinoni. Il libro ripercorre la vita e le poesie di Dino Campana, il cosiddetto “poeta matto”.
“Per trovare i personaggi basta guardarsi in giro con gli occhi privi della retorica della vita quotidiana, è lì che si scorgono le persone che la scienza chiama folli. Questo romanzo non è il risultato di un progetto ma la tappa di un percorso, ho narrato Dino Campana per capirlo, non mi interessava capire il Campana matto ma il poeta, volevo capire perché scrive poesia e che ruolo gioca in essa questa sua presunta malattia”.
Sempre sulla scia della follia Paolo Nori ha scritto “Chiudo la porta e urlo”, la storia del poeta Raffaello Baldini.
“Non avrei scritto questo libro senza Pennacchi, un giorno mi ha chiamato per complimentarsi con me, gli piacevano i miei libri ma mi ha sempre detto di fare qualcosa di più grosso. È per lui che ho scritto un romanzo biografico su Dostoevskij e questa serie continua quindi con Baldini. Non ha avuto una vita incredibile e per questo è ancora più straordinario quello che riesce a fare. Mi hanno detto che i miei libri non sembrano romanzi, sono contento, oggi un romanzo vero non deve sembrare un romanzo come le poesie di Baldini non sembrano poesie”.
Elisabetta Rasy ci racconta invece che il suo libro “Perduto è questo mare” nasce da un sogno che ha fatto tanti anni fa e che la tormentava: lei che fuggiva portando un uomo in spalle.
Da lì sono nate le storie: una ragazzina viene bruscamente separata dal padre e da adulta ha un grande amico della stessa generazione e città del padre. Le storie si costruiscono una dentro l’altra e si osserva quello che la seconda ha prodotto sulla prima.
“Non è una storia di patriarcato, il padre stesso ne è vittima. Si sa che le donne sono le vittime privilegiate ma il patriarcato fa vittime dove ne trova”.
Michele Ruol ci porta un interessante romanzo innovativo “Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia”. Attraverso novantanove capitoli, che corrispondono a novantanove oggetti, viene narrata la storia di una famiglia. La famiglia non ha nomi, li distinguiamo con: padre, madre, maggiore e minore; sono gli oggetti il vero cuore di questo romanzo (da cui inventario) ed è attraverso di loro che impariamo a conoscere la famiglia.
“Gli oggetti hanno l’effetto magico di riconnetterci, rimangono intrisi della vita delle persone che gli hanno posseduti. Sono inanimati ma pulsano di vita, ci connettono con persone che non ci sono più”.
Nadia Terranova con “Quello che so di te” ci porta un vero e proprio atlante di relazioni familiari, dove si intrecciano cinque generazioni diverse. La storia prende spunto dalla sua vita e il cuore di tutto è la sua bisnonna, di cui non sa nulla. Tutto ciò che sa di lei è che è stata internata per undici giorni in un manicomio nel 1928, a causa di un aborto. Nell’adolescenza comincia a sognarla, appassionandosi al suo mistero e decide di scrivere di lei dopo il parto, quando alla mente le si affaccia il pensiero che non può più permettersi di impazzire.
Decide di andare a fondo a quella storia, di alfabetizzarla, indagando sul perché fossero sempre le donne ad essere internate e mai gli uomini. Il libro diventa dunque un corpo a corpo con quello che lei pensava di sapere e la realtà.
Infine, Giorgio van Straten scrive “La ribelle: vita straordinaria di Nada Parri”.
“Ho raccontato questa storia perché quando ne ho letto in una pagina sui disertori tedeschi ho pensato che qualcuno la dovesse ritirare fuori. È la storia straordinaria di due persone non famose che è diventata per me un’ossessione finché non sono riuscito a raccontarla. Riflettere sul come si crea il meccanismo che scatena tante persone all’azione che credono nella possibilità di un cambiamento è stata la spinta per scrivere questo libro. Alla fine, mi sono chiesto se anche io non fossi uno degli uomini che Nada ha spinto a fare qualcosa”.
Si concludono così gli interventi dei nostri scrittori, tra l’applauso di un numerosissimo pubblico finalmente entusiasta delle attività culturali proposte da questa città. Peccato solo per la scarsa partecipazione dei giovani ma su questo punto c’è tanto da indagare e ci tornerò nel prossimo articolo. Intanto, vi saluto con l’augurio che Latina continui a respirare quest’aria di cultura!
Spero che l’articolo vi sia interessato e come sempre vi lascio la mia mail la.posta.inquieta.direbecca@gmail.com e il profilo IG pensieri.inquieti in caso voleste parlarne insieme. A presto!