Dopo un bel po’ di anni nella carta stampata, nel 1991 entro in RAI, redazione cronaca del “Tg2”. Il primo direttore un galantuomo: Alberto La Volpe. Il Tg è “appaltato” al PSI, e “marchi” e “territori” politici sono centellinati con la cura del vecchio farmacista quando preparava le sue ricette. Nonostante, margini di libertà e per fare una informazione decente, per chi la vuole davvero fare, ce ne sono.
Approdo a una redazione con colleghe e colleghi da cui imparo, giorno dopo giorno, quello che so fare (e senza falsa modestia, ma grazie a loro, qualcosa so fare). Quando dico colleghe e colleghi, sia chiaro quello che spesso si dimentica: sono compresi gli operatori, i montatori, i tecnici di vario livello, i documentaristi. Anzi, magari proprio a loro devo più di qualcosa.
Non perdevo un’edizione del Tg: la mia, per vedere che cosa si manda in onda; ma anche quelli degli altri, per capire dove ci hanno “bucato” e quando noi li si “buca”. Non ero il solo “fanatico”. “Vado in redazione”, si diceva. Ora dagli amici rimasti sento dire che “sono in ufficio”. Nulla contro gli uffici, però un giornale per me resta una “redazione”.
Da quella redazione sono uscito per limiti d’età ormai tre anni fa. Alla RAI, al “Tg2”, alle mie colleghe e colleghi devo molto. Tante cose, tante situazioni non le avrei vissute in prima persona, lì sul posto; non le avrei capite e “respirate” se non ci fosse stata la RAI, il “Tg2”. Devo della gratitudine: ho avuto più di quello che ho dato. Ho fatto molti errori e mi è andata bene: non gravissimi. Svariati direttori, espressioni di stagioni politiche. Di uno solo ho un pessimo ricordo e opinione. Nel complesso fortunato: non ho fatto tutto quello che avrei voluto fare, ma quello che ho fatto sì: lo volevo fare. Alla fine, mi sono divertito, e anche ben pagato.
Da quel lontano 1991 tutto è cambiato. Ho cominciato che c’erano ancora le macchine per scrivere, le notizie battute in quattro copie… Ora dovessi mettere piede in redazione mi sentirei perso, non saprei certo padroneggiare i mezzi e la strumentazione a disposizione. Ma il problema non è la mia incapacità tecnica, quella si potrebbe alla fine risolvere. Il fatto vero, e forse qualche collega con cui ho lavorato e che ancora lavora mi comprende, è che il “prodotto” (così lo si chiama ora, vero?) non mi appassiona più. È proprio lo “strumento” TG che sono riusciti a rendere inutile. Perfino fastidioso. Parte la sigla e scatta il vade retro.
L’ho detto prima: non perdevo un’edizione del Tg. Ora rigorosamente li evito. Tutti. Quando ci “cado”, subito cambio canale. È un discorso da umarell’? Forse. Non mi sento di escludere nulla. Molti parlano di “TeleMeloni” che impazza. È vero: si ignora completamente Talleyrand e la sua raccomandazione: “Surtout pas trop de zèle”. Qualche disincantato obietterà: ma è sempre stato così. No, non sempre, non così; oggi è più spudorata, arrogante, “l’occupazione”. Un po’ come a tavola: mangiare il pollo con le mani o usando le posate fa la differenza. Ma alla fine ima non è su questo che mi voglio impancare.
Come ai miei tempi ci sono, là “dentro”, nei Tg, colleghe e colleghi che stimo, di cui sono amico. Capaci, lavorano con coscienza, danno il massimo. I loro servizi sono “puliti”, onesti, ben fatti. E però il risultato finale è un qualcosa di brutto, sciatto, mediocre: nei contenuti (ma qui è opinabile), ma soprattutto nella “fattura”, tecnicamente parlando? È così che scatta il “nuntereggae più”. Sarà che sono diversamente giovane (Forever young alla Fausto Brizzi)…