La Diaz brucia ancora, ma adesso serve il dialogo

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Stavolta mi dispiace. Mi dispiace perché ciò che è successo alla Diaz, dove è stato esposto uno striscione con su scritto “Fuori la Polizia dalla Diaz“, rende l’idea del clima che si respiri fra i giovani dopo le vergognose cariche di Pisa e Firenze. Mi dispiace perché il preside Cavanna, oltre a essere un amico, è un galantuomo e quando afferma che “nessun poliziotto è arrivato a scuola a fare lezione” gli credo. Come gli credo quando aggiunge che “durante la giornata sono stati allestiti alcuni spazi per raccontare diverse professioni, la carriera nelle forze dell’ordine era una di queste ma non c’erano agenti presenti”.
Al tempo stesso, comprendo quei ragazzi e quelle ragazze. Li comprendo perché la Diaz non è una scuola come le altre ed è bellissimo che una generazione che non era ancora nata la notte della “macelleria messicana” custodisca la memoria di quella mattanza e ribadisca l’importanza di principî costituzionali che tanti, troppi si stanno mettendo, invece, sotto i piedi. Li comprendo e, tuttavia, mi permetto di rivolgere loro un appello. Riprendo le parole scritte, nel gennaio 2022, da Manuela Tangari, che aveva da poco compiuto diciott’anni quando venne torturata a Bolzaneto e subì l’indicibile: “Ho deciso per il mio futuro, per quello della mia famiglia e soprattutto per quello delle mie bambine che non scriverò più di odio verso una determinata categoria di persone.
Nel cassetto dei ricordi ho trovato un diario con delle note, scritte sul treno mentre ero di ritorno da Genova (ero salita per andare a testimoniare, durante il processo di Bolzaneto, era il 14 Maggio 2005), che mi hanno fatto riflettere molto.
Voglio condividere con voi questo pensiero, che è quello che porterò avanti per sempre: ho sofferto tanto dopo Genova e la mia sofferenza mi ha portato a non far soffrire nessuno”.
Care ragazze e cari ragazzi della Diaz, ne ho conosciute tante di vittime di quell’inferno, e del non meno atroce orrore di Bolzaneto, pertanto vi dico la mia: evitate l’odio. Il vostro odio, infatti, sarebbe la più grande vittoria di chi vi insulta, vi manganella, vi umilia, vi priva di ogni prospettiva e di un futuro dignitoso. Io, durante la mia inchiesta sui fatti del G8, nello sguardo di Mark, di Lena, di Stefania, di Adarosa e di tante altre persone meravigliose di cui oggi ho l’onore di essere amico ho sempre visto uno straordinario amore per il prossimo e per la vita. Lo stesso amore che ho visto nello sguardo di alcuni agenti di Polizia che hanno rischiato in prima persona per denunciare quella barbarie, prendendo posizioni tutt’altro che comode e facendo della lotta per un’Italia migliore la propria ragione di esistere.
Care ragazze e cari ragazzi, ve lo dico senza paternalismi di sorta: io sogno di vivere in un Paese in cui, prima di una manifestazione, studenti e forze dell’ordine si incontrino, si parlino e si confrontino nel merito della protesta. Sogno che la caserma di Bolzaneto, situata in una zona estremamente periferica, sia trasformata in un centro d’accoglienza e integrazione dei migranti che approdano sulle nostre coste e in un centro anti-violenza in cui le donne maltrattate possano trovare rifugio, restituendo chi oggi vi lavora a un contatto quotidiano con la popolazione di cui è chiamato a garantire la sicurezza. E sogno che quella scuola, anche grazie a voi, diventi meta di un “pellegrinaggio democratico”, che studenti e studentesse di altre scuole vengano a visitarla e che sia spiegato loro, magari col coinvolgimento attivo di chi era lì quella notte, cosa vi è accaduto, affinché non si ripeta mai più. Insieme possiamo farcela, non ve lo dimenticate mai.

(Immagine d’archivio degli scontri di Genova)


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