Il mare continua ad inghiottire vite fatte di carne, ossa, cuore e anima

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“Criminali chi li ha messi in mare con quel maestrale! Doppiamente criminali perché quelle barche di ferro sono bare ambulanti e in condizioni di mare avverso portano a morte sicura. A loro non lo dicono, gli fanno credere che arriveranno in poco tempo in Europa e invece…”
È lo sfogo di chi ogni giorno ormai raccoglie le testimonianze dei sempre meno sopravvissuti ai continui naufragi nel mare che fa da ponte tra il NordAfrica e Lampedusa . Il procuratore di Agrigento Salvatore Vella sta raccogliendo gli elementi ricostruire l’ultima tragedia raccontata agli uomini e donne della Squadra Mobile, agli operatori delle Ong, ai medici e ai mediatori culturali da 4 miracolati subsahariani, tre uomini e una ragazzina ancora adolescente, ora nell’hotspot di Contrada Imbriacola .
Caricati venerdì scorso dai trafficanti in 45 su una bagnarola in una spiaggia di Sfax, Tunisia,  mentre a poche miglia sferzava un vento terribile e si alzavano onde alte fino a quattro metri. La bagnarola poco dopo si ribalta, tutti cadono a mare: uomini donne e bambini, inghiottiti come almeno altri duemila da quel mare che doveva portare alla salvezza.

I superstiti si aggrappano a quattro camere d’aria che fanno da salvagente e vengono trascinati dalla corrente verso il confine con la Libia . Lì trovano un barchino in ferro vuoto, ci salgono sopra,  e sperano che qualcuno arrivi in soccorso. Nel frattempo un aereo Frontex li vede e segnala alle autorità competenti libiche che rimandano al mittente. Non resta che attivare le autorità italiane che coinvolgono la nave mercantile più vicina che li prende in carico fino all’arrivo di una motovedetta della guardia costiera italiana. Poi via verso Lampedusa.
41 i dispersi che si aggiungono alle oltre cento persone che in pochissimi giorni hanno perso la vita per mano di criminali che operano indisturbati in un paese con il quale l’Europa con il nostro governo in testa  continua a tessere accordi fino ad ora inefficaci e più mortali di prima. Inefficaci perché i numeri degli approdi dalla rotta Tunisino-Libica sono quasi triplicati rispetto allo stesso periodo dello scorso anno con un incremento proprio nelle settimane di fine luglio, subito dopo la firma dell’ultimo accordo con Tunisi. E una recrudescenza a inizio agosto. Intanto, la Tunisia chiarisce da subito che non sarà un campo profughi per gli africani di pelle nera, chi è già nel paese del Gelsomini viene cacciato nel deserto confinante con la Libia senza possibilità di sostentamento, gli altri continuano a tentare la sorte in mare.

Mentre dall’altra parte si continuano a contare i vivi e i morti senza trovare una soluzione logica e umana, il mare continua ad inghiottire vite fatte di carne, ossa, cuore e anima. Un dramma che perdura da almeno tre decenni e svariati governi di colori diversi. Nel dicembre del 1996 la prima grossa tragedia nel Mediterraneo quando poco meno di 300 migranti pakistani e dello Shri Lanka partiti dall’Egitto, affogano al largo di Portopalo Capo Passero, sud est Sicilia dopo che la loro barca si scontra con una nave greca.  I 170 superstiti, tra cui gli stessi scafisti, vengono soccorsi e portati in Grecia. Intanto i resti delle vittime vengono recuperati dalle reti di pescatori siciliani, nel silenzio tombale delle istituzioni e media italiani. Sarà un giornalista “giornalista” italiano, Giovanni Maria Bellu, a indagare, a trovare le prove di quella tragedia e a restituire dignità alle vittime . Oggi dopo 27 anni non possiamo far altro che continuare a fare il nostro mestiere.


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