Relazione annuale dell’Agcom: il tempo passa, gli algoritmi incombono

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Lo scorso mercoledì 19 luglio è stata tenuta dal presidente Giacomo Lasorella la relazione annuale sull’attività dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.

Il testo pronunciato (cui si aggiunge il volume analitico di 166 pagine) fa una navigazione veloce tra i vari Scilla e Cariddi in cui si dipana l’azione di un’istituzione nata nel 1997 con vaste ambizioni e rilevanti poteri. Fu immaginata una Ferrari, forse con qualche esagerazione, ma nella prassi reale la macchina è meno brillante. E questo va addebitato solo parzialmente, in verità, a limiti soggettivi – non è la sede qui di una riflessione in tal senso-, essendo ormai evidente che qualcosa di oggettivo non funziona.

Insomma, varrebbe la pena di condurre una diagnosi non congiunturale sulle Autorità, immaginate come un tertium genus tra Governo e Parlamento, dotate di significative potestà regolamentari pensate per seguire in tempo reale le evoluzioni acceleratissime delle tecniche e dei paradigmi dei settori interessati.

Una valutazione qualitativa induce a molte domande. Senza inutili catastrofismi, sarà utile -da parte di chi ne ha ruolo- darci un occhio. Anzi. Un proficuo rapporto con le altre istituzioni è utile per migliorare visioni e funzionalità.

Infatti, proprio Lasorella ha annunciato l’invio di una segnalazione al Parlamento per suggerire un aggiornamento della disciplina sulla par condiciovarata nel febbraio del 2000 (l.n.28). Ventitré anni in un campo dove si è passati dal gettone telefonico all’intelligenza artificiale, dal predominio assoluto della televisione generalistaalla dittatura dei social, dalla lentezza analogica al ritmo frenetico del digitale- sono un tempo infinito. Quel testo, variamente attaccato e via via inapplicato, ha bisogno di un restyling accurato, che almeno ribadisca l’obbligo del silenzio elettorale e la trasparenza delle forme di finanziamento, nonché i limiti nella divulgazione dei sondaggi. Tuttavia, serve molta creatività, in quanto la sintassi dell’età che viviamo nella comunicazione esige approcci giuridici diversi dal passato. L’Agcom ha avviato una consultazione pubblica e sarà utile non sottrarsi a simile impegno. Le elezioni europee sono in arrivo: la messe abnorme di dati personali e di profili in circolazione – con corredo di un fiorilegio di fake– potrebbe influenzare l’esito del voto. Uno dei tratti peculiari della stagione in corso, vedi pure il caso spagnolo, richiede massima attenzione.

Non per caso il capitolo 5 della relazione si sofferma su tali aspetti della surmodernité (un termine caro al compianto antropologo Marc Augé). Il recente Regolamento europeo Digital Services Act, che afferisce allo spettro della medesima Autorità, richiede il varo di meccanismi di co-regolamentazione per le ramificazioni operative delle piattaforme: dalla tutela del pluralismo informativo, alla protezione dei minori dai contenuti illegali, al tema conflittuale della corretta remunerazione dei prodotti editoriali (equo compenso). Purtroppo, ancora una volta si esibisce come fiore all’occhiello la difesa dura e pura del copyright, questione trattata nella legge appena approvata dalle Camere come un’emergenza terroristica. Guai alla pirateria, ma attenzione alla scritturadegli articoli: gli oligarchi della rete o le majord’oltre oceano non fanno un plissé, mentre ad essere colpiti sono i piccoli provider costretti a riorganizzarsi senza mezzi e strutture.

Il rapporto di Lasorella spazia tra svariati argomenti, con un filo conduttore che illustra il lato nero del passaggio di fase in cui siamo immersi. Se la crisi crescente dell’editoria non fa notizia, è meno scontato il panorama triste delle telecomunicazioni: le risorse si sono ridotte ulteriormente (-3,3% rispetto al 2921) e netta è la flessione del rapporto tra margine lordo e ricavi. Eppure, il traffico dei dati in un decennio si sono decuplicati. Le vie scelte dal signore sono altre e stanno nel cielo degli Over The Top.

Così le Poste sono ormai un’azienda lontana dal disbrigo della corrispondenza.

Cambiare, dunque, per non soccombere.


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