I processi sulle stragi di Capaci e via D’Amelio non hanno fatto chiarezza sui loro ispiratori

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Da diversi anni, alcuni anniversari di vittime illustri di mafia sono diventati occasione di polemiche politiche, di esibizione della cosiddetta “antimafia di cartone”e di protesta dell’antimafia sociale impegnata quotidianamente a contrastare il rapporto mafia/politica, a educare alla legalità le nuove generazioni.

Il trentunesimo anniversario delle stragi di Capaci e di via D’Amelio non è sfuggito a tale logica. Mentre si ricorda il sacrificio di Paolo Borsellino e della sua scorta, il governo nazionale approva la proposta di abolire il reato di abuso d’ufficio, reato spia della corruzione e della collusione mafia/politica/istituzioni, propone di imbavagliare la stampa vietando la pubblicazione delle intercettazioni non citate nel dibattimento processuale, rendere collegiale la decisione sulla custodia cautelare e, dulcis in fundo, bisogna ricordare le ultime proposte del ministro Nordio: separare le carriere dei pm e dei giudici e neutralizzare, con apposite modifiche, il reato del concorso esterno in associazione mafiosa. A tutto ciò bisogna aggiungere la decisione del Consiglio dei Ministri di liberalizzare il ricorso al subappalto, notoriamente via maestra per l’infiltrazione della mafia nei vari settori della spesa pubblica e nel ricorso al lavoro nero.

Storicamente è condivisa la constatazione che senza la prima legge antimafia, Rognoni/La Torre, approvata solo dopo l’assassinio di Pio La Torre e Carlo Alberto Dalla Chiesa, non ci sarebbe stata la sua applicazione da magistrati pionieri come Rocco Chinnici, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino che con il maxiprocesso hanno potuto far condannare i mafiosi e confiscare i loro beni proventi di reato.

I processi sulle stragi di Capaci e via D’Amelio, come quelli politico/mafiosi della seconda guerra di mafia, hanno fatto chiarezza sugli esecutori dei delitti e dei depistaggi, ma non sui loro ispiratori. Fino a quando non saranno svelati e condannati tutti gli ispiratori politici, istituzionali e sociali delle stragi del dopoguerra, la nostra democrazia sarà esposta sempre a nuovi attacchi.

Alle nuove generazioni bisogna fornire gli strumenti culturali utili per comprendere la complessità del fenomeno criminale mafioso, per la sua peculiarità di ricerca costante di rapporto con la politica, le sue articolazioni internazionali e le connessioni con la sostanzialità democratica.

Bisogna porre con forza, anche in previsione delle elezioni europee, l’obiettivo di una legislazione antimafia simile a quella italiana per far fronte ai nuovi fenomeni generati dal sistema economico-sociale della globalizzazione, dalla rivoluzione digitale, dalla guerra della Russia contro l’Ucraina, dal riscaldamento climatico.

Antimafia, oggi come ieri, significa tracciare un processo politico culturale economico che rafforzi e diffonda nel mondo la democrazia, elimini la povertà e le disuguaglianze sociali territoriali, di genere, che renda impossibile la guerra.

Sono anche gli obiettivi che le associazioni democratiche e antimafia, come il Centro Pio La Torre, perseguono con profonda convinzione senza farsi distrarre dall’antimafia di cartone e autoreferenziale.


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