Francia, continuano le rivolte per l’uccisione di Nahel. Non si esclude lo stato di emergenza

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Più di 40.000 agenti sono stati mobilitati in tutta la Francia dal governo che cerca di contenere la crescente rabbia dopo che un poliziotto ha ucciso un adolescente, Nahel, 17 anni, colpito al petto a bruciapelo martedì mattina in un “incidente” che ha riacceso il dibattito  sui metodi violenti messi in atto dalle forze di sicurezza francesi condannati dalle organizzazioni per i diritti umani. In particolare, l’azione repressiva viene attuata nei sobborghi a basso reddito dove vivono per lo più minoranze etniche.
Il 17enne era stato fermato durante un controllo per aver infranto diverse regole stradali, in Francia come in Italia non si può prendere la patente prima dei 18 anni.
L’agente che ha sparato ha affermato che il ragazzo avrebbe tentato di investire lui e il collega. Ma alcuni video hanno smentito questa versione.
La madre di Nahel ha chiesto agli amici di suo figlio di animare una marcia nel sobborgo parigino di Nanterre, dove è stato ucciso per ricordarlo e rendergli omaggio.
Ma il corteo si è trasformato in uno scontro tra manifestanti e polizia.
Vista la gravità della situazione, il presidente Emmanuel Macron ha convocato una “riunione di crisi” del Consiglio dei ministri. Oltre che a Parigi, i disordini sono scoppiati anche in altre città francesi, tra cui Tolosa, Marsiglia, Digione e Lione.
Nella sola regione parigina sono state schierate circa 2.000 unità antisommossa.
Dalle prime proteste scoppiate nella mattinata di giovedì scorso, le forze di sicurezza hanno arrestato 650 persone, molte coinvolte nel caos crescente che ha visto manifestanti con indosso passamontagna bruciare auto e danneggiare negozi.
La situazione nel Paese è da tempo esplosiva.
Qualche analista dell’ultima ora ha sostenuto che le nuove rivolte scoppiate in Francia testimonino il fallimento della politica delle “porte aperte”.
Il problema sarebbero  i migranti, non la crescente brutalità della polizia, l‘economia in affanno e l’evidente crisi d’identità interna.
Come spiega bene Jean Pierre Darnis, professore associato presso l’Université Côte d’Azur (Nizza), la situazione politica nella Francia odierna è molto più complessa, il paese è di fonte a una vera e propria  “crisi democratica”.
Oltre Darnis, altri analisti ritengono che dall’adozione della riforma del sistema pensionistico, a metà aprile, alla crescente aggressività delle forze dell’ordine nei confronti di chi manifesta dissenso in piazza, soprattutto se di ernia araba o africana, si è assistito a un crescendo di tensioni che rivelano un’evidenza indiscutibile: quella in corso in Francia non è solo una semplice crisi sociale e politica, è una più ampia crisi costituzionale.
Intanto i disagi per i cittadini francesi a causa delle restrizioni dovute alle proteste accrescono ulteriormente le tensioni.
Bus e tram resteranno fermi dalle 21 fino a nuovo ordine nell’Ile-de-France, la regione di Parigi epicentro dei disordini in corso nel Paese che sembra non siano destinati a ridimensionarsi.
La possibilità che venga proclamato lo stato d’emergenza non è dunque esclusa.
L’opzione di instaurare una sorta di coprifuoco in Francia per la rivolta delle banlieue non è affatto remota. Interrogata sul tema, la premier Elisabeth Borne ha detto questa mattina che “tutte le ipotesi” vengono prese in esame per ripristinare “l’ordine repubblicano”.
E mentre il governo francese schiera i blindati nelle strade , proseguono le azioni di danneggiamento e saccheggio contro negozi, agenzie bancarie o centri commerciali.
Un giovane manifestante è morto dopo essere caduto da un tetto di un negozio a Petit-Quevilly, in Normandia.
Appare dunque scontato che l’Eliseo scelga la linea dura per affrontare la crisi dopo la terza notte di violenti scontri in tutta la Francia.


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