Femminicidio di Giulia Tramontano: Impagnatiello un maltrattante assassino che nei media passa da narcisista che dice un sacco di balle a “mostro”

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Oggi parliamo di uomini e cominciamo da lui, Alessandro Impagnatiello, la star dei titoli su cui si è scritto e detto di tutto e di più. Lui che ha ucciso la compagna incinta di 7 mesi con 4 coltellate al collo per poi bruciare il corpo sia con alcol che con benzina senza successo, finendo per nascondere il cadavere vicino casa, inscenando la sua scomparsa con messaggi fasulli e allertando la polizia della sua scomparsa fino a quando, messo alle strette, non ha confessato.

Lo “sciupafemmine narciso” che dice bugie

Un femminicidio che l’informazione sta continuando a descrivere nei minimi particolari, dove l’offender è stato dipinto come un “bugiardo”, un “manipolatore”, un “narcisista”, uno sciupafemmine che amava la libertà: un trentenne eterno scapolo con un debole per le donne. Un profilo che tutto sommato rimane nel range di quella ritrattistica mediatica dell’offender che svia dalla violenza agita, spianando la strada in maniera inequivocabile alla linea difensiva del reo confesso. Ma chi è davvero Alessandro Impagnatiello, il barman dell’Armani Bamboo di Milano che ha ucciso la compagna Giulia Tramontano con cui conviveva e con la quale aveva il progetto di un figlio insieme, pur avendo già un figlio di 8 anni da una precedente relazione? Lui che non ha neanche provato a suicidarsi, come tanti altri, ma che si è portato in macchina il cadavere della donna incinta, fingendosi preoccupato per la sua scomparsa mentre cercava di capire come farla franca. Quello che si è detto su quest’uomo è indice di come sia distorta in questo Paese la percezione della violenza maschile sulle donne: il “lurido” che “rubava i soldi al bar” è dipinto come uno scapolo impenitente, un “narcisista” troppo preso da sé che diceva bugie perché aveva troppe ragazze, oppure all’opposto addirittura un “mostro”, come ha detto sua madre in una intervista a “La vita in diretta” e come ha ripetuto Mara Venier ieri a “Domenica In” guardando in faccia la telecamera davanti a milioni di utenti e dicendo: “Sì, suo figlio è un mostro”. Un profilo che serve solo nascondere il problema e a esorcizzare un dato molto importante: che Impagnatiello è in realtà un “uomo violento” come tanti altri, un insospettabile abituato a maltrattare psicologicamente le sue vittime per poter imporre la sua volontà dato che il sistema in cui viviamo glielo permetteva.

Non “mostri” ma uomini spesso “insospettabili” che uccidono

Un insospettabile, uno di quelli che la gente saluta cordialmente, uno che Giulia si teneva in casa in una relazione tossica senza sospettare che sarebbe stata la causa della sua morte, uno che fuori è in un modo e nell’intimità in un altro, come la maggioranza degli offender che la nostra cultura non ci insegna a riconoscere perché in fondo è “normale” che sia così.

Uomini che d’abitudine fanno quello che vogliono e agiscono con violenza e aggressività quando sono “stressati” da donne che cominciano a ribellarsi alle loro regole, come ha detto Impagnatiello parlando del movente del crimine che ha commesso. “L’ho uccisa perché ero stressato nella gestione delle due relazioni”, soprattutto dopo che le due “fidanzate” lo hanno scoperto e hanno rotto con lui. Uomini che sono accanto a noi, dentro le nostre case, tra i nostri amici che apparentemente conducono una vita tranquilla, il nostro capo, il nostro fidanzato, i famosi “ma era così bravo” che poi nelle relazioni intime sono “uomini violenti”: due paroline che nei fiumi di parole spese sul femminicidio di Giulia Tramontano non si sono mai sentite. Perché? Perché secondo la vulgata se non vedi i lividi, le botte, le lesioni pregresse, i buchi in testa, allora significa che non c’è stata violenza, e anche se quello che Impagnatiello ha fatto è stato l’estremo atto di una violenza perdurante all’interno di un rapporto controllante, non fa niente perché la violenza psicologica non è poi così grave, in fondo non esiste, è “narcisismo”.

La violenza psicologica è violenza

Sì perché ormai tutti dicono che anche lui è un narcisista, un termine abusato che in questo caso è limitante sia perché non tutti i narcisisti, anche patologici, uccidono, sia perché non tutti gli uomini violenti sono per forza narcisisti, quindi non è un assioma. Ma anche perché la violenza maschile sulle donne è un fenomeno strutturale inquadrato in un sistema sociale e culturale che discrimina “l’altro sesso” al di là dei problemi psicologici e/o patologici che il soggetto maschio in questione può avere (solo il 5% di questi uomini soffre di patologie psichiatriche accertate). Eppure il narcisismo è ormai una definizione fin troppo usata che spesso funziona come un alibi per ridurre la gravità di un fenomeno, come quello della violenza maschile sulle donne, a una mera sfera personale e patologica dell’individuo da cui basta ripararsi, basta lasciarlo e non andare all’ultimo appuntamento: ma siamo sicure?

Perché la violenza di genere, che comprende violenza fisica, sessuale, economica e anche psicologica, è una forma di maltrattamento le cui conseguenze possono essere devastanti per chi subisce perché mirata al controllo e al possesso totale della persona, dove soprattutto quella psicologica rimane frequentemente nascosta, non riconosciuta e sottostimata ma che è legata a un sistema culturale che relega le donne a mero oggetto di uso da parte del maschile socialmente accettato e normalizzato anche all’interno dei tribunali.

La parola “violenza” non viene mai pronunciata

Dire quindi a ogni piè sospinto che Impagniatiello era un narcisista che ingannava le donne senza mai pronunciare la parola “violento”, o addirittura un “mostro” cioè una creatura “risultante da una contaminazione innaturale di elementi diversi tale da suscitare orrore o stupore” (Oxford Languages), azzera tutta la portata sociale, culturale e collettiva di un fenomeno che coinvolge più di 1 miliardo di donne e ragazze nel mondo, riducendo il problema a un fatto di patologia del singolo e rendendo più semplice la costruzione di attenuanti perché lui non sta bene, non era in sé, è stato un momento, un raptus. Non a caso, a differenza del Pubblico ministero Alessia Menegazzo per la quale le modalità del femminicidio “sono state pensate, studiate e organizzate”, la Gip Angela Minerva ha già estromesso dal capo d’imputazione le aggravanti di premeditazione e di crudeltà, malgrado l’uomo abbia cercato sul web indicazioni sul caso di Garlasco prima del delitto, in quanto “appare preponderante l’elemento dell’occasionalità” del gesto, mentre l’arma del delitto è stata trovata in casa “non a seguito di un’accurata selezione”, chiarendoci così la direzione che già questo procedimento sta prendendo anche grazie a questa narrazione fatta da certa stampa.

Semplici menzogne? No, è il Gaslighting

In realtà, come rivelato al Corsera da Allegra, la “seconda fidanzata” di Impagnatiello che faceva la cameriera all’Hotel Armani, quando le due donne si sono confrontate, “hanno parlato delle vessazioni psicologiche di lui”. Un particolare che è sfuggito a quasi tutti quelli che in questi giorni chiacchierano e che contrariamente a molti altri particolari riportati, anche morbosi, ci fa capire la forma di violenza a cui queste donne erano probabilmente sottoposte da un uomo che gestiva relazioni fisse e parallele facendo Gaslighting che è tutt’altra cosa dal dire bugie per sfuggire a un paio di corna.

Una forma di violenza psicologica che si sviluppa “presentando alla vittima false informazioni con l’intento di farla dubitare di se stessa, della sua stessa memoria e percezione, della sua capacità di analisi e valutazione della realtà fino a farla sentire disorientata, inadeguata, o addirittura sospettosa di star sviluppando un disturbo psichico”, perché – come riporta Save the children – il Gaslighting si manifesta “attraverso la negazione che determinati episodi siano mai accaduti o al contrario, attraverso l’invenzione che determinati eventi abbiano di fatto avuto luogo con l’intento di disorientare e confondere la vittima”: una violenza psicologica caratterizzata “da un pattern di azioni che l’abusante utilizza per controllare e dominare la partner”.

Una forma di violenza, quella psicologica, che ritroviamo chiaramente riportata dalla Convenzione di Istanbul e da moltissima letteratura internazionale, come anche dalla Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne Onu (risoluzione 48/104) in cui “l’espressione violenza contro le donne significa ogni atto di violenza fondata sul genere che abbia come risultato, un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne”. Una violenza agita per imporre la propria volontà e il proprio controllo attraverso una realtà costruita ad hoc, proprio come faceva Impagnatiello con le sue partner facendo credere a Giulia di essere il fidanzato che aspettava di coronare il rapporto con la nascita del loro figlio e facendola sentire in colpa quando lei lo stava per lasciare prima di ucciderla, dicendo all’altra che il figlio non era suo e falsificando il certificato del Dna, facendo credere che Giulia avesse problemi psicologici e fosse bipolare, e dicendo che era andato in vacanza con lei a Ibiza perché stava troppo male e pensava al suicidio: “Giulia è instabile, ha più volte minacciato di suicidarsi”, dice Impagnatiello alla sua amante che non ci casca e contatta Giulia

La ricerca sul femminicidio di Garlasco prima di uccidere

Anche se non sapremo mai quello che quest’uomo ha veramente detto alla fidanzata uccisa per cercare di mantenere in piedi le due relazioni in tutto questo tempo, una cosa è certa: la sua azione era mirata a destabilizzare e a mettere in crisi la stessa capacità di discernimento delle vittime per poter esercitare il suo potere e il suo controllo in maniera totale e maniacale. Non quindi un semplice “sbruffone” che dice “bugie”, ma un uomo che prima di incontrare la compagna è andato su internet e ha cercato “Alberto Stasi Bollate” per capire le dinamiche di un altro femminicidio, quello di Garlasco, per il quale Alberto Stasi è stato condannato a 16 anni di reclusione per aver ucciso la fidanzata Chiara Poggi, e cercando poi come “rimuovere macchie sudore”, “candeggina”, “macchie d’olio”, “macchie di ruggine”, “macchie di sangue”.

Un uomo che ha cercato di farla franca in tutti i modi con piena cognizione di quello che andava a fare e nella piena consapevolezza che quando una donna sfugge al controllo, si ribella e diventa d’impaccio, può essere eliminata fisicamente come un oggetto che non serve più. E chissà che fine avrebbe fatto la seconda fidanzata, Allegra, se l’avesse fatto salire in casa la sera in cui lui è andato da lei dicendo che era “libero” dato che l’altra se ne era andata, dopo che l’aveva appena uccisa.

Perché Impagnatiello mette incinta tutte le sue fidanzate?

Possesso che Alessandro invece dimostra anche nel fatto di aver messo incinta tutte le sue partner: la madre di suo figlio di 8 anni, la sua amante italo-anglosassone di 23 anni che però ha abortito, e la stessa Giulia Tramontano: un record un po’ strano per un uomo di soli 30 anni, ma sicuramente un dato da prendere in seria considerazione nella dinamica di aggancio su donne che sceglieva per mantenere un controllo ancora più forte su di loro. Un piano che va in pezzi quando Giulia e Allegra decidono di sottrarsi dopo aver scoperto chi è lui veramente. E mentre Allegra, che lo conosce da meno tempo ma che ha scoperto con più gradualità di cosa sia capace quest’uomo, percepisce il rischio e non lo fa salire quando si presenta da lei, probabilmente salvandosi (“Ha iniziato a chiedermi di vederci. Le sue richieste erano talmente pressanti che mi ha accompagnato un collega a casa. Avevo paura, non sapevo che fine aveva fatto Giulia e di che cosa fosse capace”).

Giulia sa che l’unica soluzione è sottrarsi, lasciarlo, andare via, come dice a una sua amica nell’ultima telefonata (“Lui mi ha rovinato la vita, devo tornare giù”) o come scrive al fidanzato pochi giorni prima (“Accetta la mia decisione e chiudiamo discorso. Non voglio altre discussioni, frustrazioni, ansie e rabbia continua, lasciami stare. Basta”), ma non fa in tempo perché la punizione è già stata decisa, preordinata, dato che chi osa mettere in discussione il controllo di un uomo violento, la paga fino in fondo. “Vuoi lasciarmi prima che nasca nostro figlio? Che madre sei?”, scrive Alessandro a Giulia due giorni prima di ucciderla per non lasciarla andare, per farla sentire in colpa usando il figlio in arrivo mettendo sul piatto il gancio più forte

Il femminicidio non nasce da una “lite”

A parte alcune esperte dei centri antiviolenza invitate a intervenire, nulla di tutto questo emerge nelle analisi mediatiche per la maggior parte improvvisate con gente che straparla di narcisisti e che omette la semplice parola “violenza” che sembra un tabù. Per chi non sa cosa sia un femminicidio è più semplice sostenere che sia avvenuto al culmine di una “lite”, quella lite che Alessandro e Giulia hanno avuto a casa quando lei è tornata dopo il confronto con Allegra, dove invece l’omicidio era già stato deciso (se non preparato nei minimi dettagli comunque preordinato).

Un delitto atroce su cui l’uomo ha anche osato dichiarare di aver aiutato la compagna dato che era lei che voleva morire, come se alla fine si fosse pugnalata da sola: “Mentre veniva verso la sala con il coltello che stava usando per i pomodori – dice Impagnatiello – ha iniziato a procurarsi dei tagli sulle braccia e mi diceva che non voleva più vivere. Si era già inferta qualche colpo all’altezza del collo e io, arrivato vicino a lei, per non farla soffrire le ho inferto tre o quattro colpi all’altezza del collo”. Ecco, lei voleva morire e lui l’ha solo aiutata a non soffrire, non ha fatto nulla, glielo lo ha chiesto lei.

Lui “distrutto dall’accaduto” ma non è una fatalità

Sui giornali è stato anche riportato a grandi lettere nei titoloni che ora per lui “L’unico pentimento è il suicidio”, quello che neanche ha provato a fare dopo il delitto, e il suo avvocato ha anche aggiunto che “è come se stesse piano piano uscendo da un’allucinazione” e che “inizia a percepire la realtà in cui si è trovato”, “una situazione angosciante e terribile”: come se fosse una fatalità accaduta senza un responsabile.

Una “tragica fatalità” che i giornalisti potrebbero risparmiare almeno nei titoli riportando le ambigue frasi dell’avvocato nel pezzo almeno contestualizzandole, dato che non aggiungono nulla alla notizia e arricchiscono solo il profilo giustificazionista che andrà a pesare poi nel giudizio, come stiamo già vedendo. Perché questo ragazzo “distrutto dall’accaduto” è quello che è andato in giro con il cadavere di Giulia nella sua auto e ha mandato un messaggio al suo numero di cellulare mentre era già morta, scrivendo: “Prima in casa continuavo a guardare la nostra foto della vacanza a Ibiza. So che non sono stato un fidanzato ideale negli ultimi mesi, dicci solo che stai bene”. Lui che dopo aver ucciso la compagna ha chiamato l’altra ex per chiederle di fargli vedere il figlio di 8 anni dicendo “Voglio stare con lui” mentre, come ha fatto notare la fidanzata inglese, aveva “guanti in lattice di colore azzurro che gli uscivano dallo zaino”.

Lo “sbruffone” e la ritrattistica dell’offender

Ma un certo tipo di giornalismo ci tiene alla vox populi e per capire chi era Alessandro si va dagli amici: “Dai racconti di chi lo conosce bene, il ritratto che emerge del barman (…) è piuttosto quello del manipolatore, narciso”.

Un piccolo sbruffoncello di periferia che diceva solo un sacco di balle e che era pieno di donne: “Era un bravo ragazzo, mai e poi mai ci saremmo aspettati da questa faccia d’angelo ciò che poi è accaduto”, dice il padre di un amico ricalcando la solita rittrattistica senza aggiungere nulla ma scordando che questo bravo ragazzo un po’ pazzerello ha ammazzato la fidanzata incinta.

E poi c’è il Corsera Milano, forse il peggiore, che pubblica testualmente: “Ale che – ricordano i suoi amici – era un po’ sbruffone anche da ragazzo. Che non era bello ma aveva mille donne e cento vite parallele, un narciso che manipolava le donne”. Come se quel femminicidio fosse stato un improvviso raptus avvenuto perché quel “ragazzo”, un po’ narciso un po’ rubacuori, era stato scoperto con le mani nella marmellata.

Sono le donne che devono essere educate a non farsi uccidere?

Ma non basta perché in alcuni interventi si insiste che sono le donne che devono stare attente, che le donne devono capire che stanno per essere ammazzate e non devono andare, devono essere “educate” per questo come se la responsabilità fosse la loro.

Ebbene vi do una notizia: la violenza domestica non è riconosciuta neanche nei tribunali da magistrati che dovrebbero proteggere queste donne, soprattutto quelle che denunciano, mentre invece spesso la sopravvissuta viene messa sul banco degli imputati o addirittura punita con la sottrazione dei figli, e se invece è morta la sottovalutazione del reato è quasi certa anche grazie a tutte queste belle storielle che confeziona l’informazione, oltre che per la mancata formazione della maggioranza dei magistrati nei tribunali italiani come ci hanno ben descritto le 13 relazioni della Commissione d’inchiesta sul femminicidio al senato presieduta da Valeria Valente nella scorsa legislatura. Non a caso l’Italia è stata condannata 8 volte in 4 anni dalla Corte dei diritti umani e dalle Nazioni Unite per mancata protezione di donne che avevano denunciato il partner violento e per la riproposizione di stereotipi sessisti all’interno dei processi. Allora faccio una domanda: come si può pensare che una donna che sta insieme a un uomo violento in una relazione tossica di controllo immersa fino al collo, si renda conto fino in fondo che quell’uomo può ucciderla se neanche le istituzioni hanno chiaro cosa sia il fattore di rischio?

In una cultura dove certi “comportamenti” maschili sono ritenuti “normali e accettabili” perché facenti parte della loro “natura”, il livello di attenzione è basso per tutti, a meno che non ci si rivolga a un centro antiviolenza dove operatrici e avvocate esperte sanno bene cosa sia il fattore di rischio e possono guidarti fuori dalla spirale della violenza con un percorso molto preciso.

Chiediamo crediti obbligatori anche per la formazione giornalistica sulla narrazione della violenza maschile sulle donne

Narrazioni che ancora non rispettano l’articolo 5 bis del codice deontologico dei giornalisti, e che dimostrano una scarsa conoscenza delle dinamiche della violenza maschile sulle donne ma anche una scarsa volontà di approfondire e sapere, dato che ormai sia gli ordini regionali che il nazionale offrono una importante offerta di corsi di formazione proprio sulla narrazione della violenza maschile sulle donne, compresi i profili degli offender, riguardo un fenomeno strutturale che solo in Italia conta 7 milioni di vittime e che addirittura uccide in casa propria. Un fatto che forse dovrebbe far riflettere l’Odg sul rendere obbligatori un certo numero di crediti ottenuti con corsi di formazione di genere su questi temi come si fa per quelli deontologici.

Narrazioni che nell’insieme dimostrano i passi indietro fatti negli ultimi anni, complice la pandemia e la politica attuale non sinceramente attenta a sradicare il fenomeno alle radici che accusa la Convenzione di Istanbul di essere dalla parte del “gender”. Una regressione rispetto a un importante lavoro di cambiamento fatto finora, soprattutto sulla narrazione dei femminicidi, e che ora salta agli occhi davanti a un femminicidio che ha scosso profondamente l’opinione pubblica, e dove sono addirittura i social a sottolineare spesso alcune importanti e pericolose distorsioni nel quadro d’insieme, e la vittimizzazione secondaria che si rischia con certi racconti e certi profili.

La risposta ridicola della ministra Roccella

Femminicidi su cui oggi tutti piangono e si indignano ma che continueranno a essere endemici anche quando la morte di Giulia sarà dimenticata, e su cui le dichiarazioni della ministra delle pari opportunità, Eugenia Roccella, che promette un nuovo pacchetto sulla violenza di genere per fare un “tagliando” alle norme esistenti, suonano come una presa in giro dato che c’è ancora una Commissione bicamerale d’inchiesta sul femminicidio che non è stata neanche insediata e dato che alla votazione del Parlamento Europeo per far ratificare la Convenzione di Istanbul all’Unione europea, i partiti di governo, Lega e FdI, si sono astenuti mentre Susanna Ceccardi e Alessandra Basso della Lega hanno addirittura votato contro.

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L’articolo è stato pubblicato il 4 giugno su DonnexDiritti Network (la ricerca fotografica sé a cura del team di DXD)

Femminicidio di Giulia Tramontano: Impagnatiello, un maltrattante assassino che nei media passa da narcisista che dice balle a “mostro”


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