Quei ragazzi che parlano alle nostre coscienze

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Quelle ragazze e quei ragazzi accampati in tenda davanti alle università, in lotta contro il caro affitti, soprattutto nelle grandi città, parlano alle nostre coscienze. E ci dicono quanto questa società sia diventata fragile, ingiusta, diseguale, violenta, escludente e incapace di assicurare un diritto garantito dalla Costituzione come quello allo studio. Studiare, ormai, in questo Paese è diventato infatti un privilegio appannaggio di pochi, in particolare dei più ricchi, di chi nasce nei quartieri borghesi, di chi ha alle spalle una famiglia in cui almeno uno dei genitori è laureato e in cui il reddito mensile consente di pensare alle rose oltre che al pane. Per gli altri stiamo preparando un avvenire di miseria, fra lavori precari, nessun diritto, tutele inesistenti, compresa quella della vita sui luoghi di lavoro, e disperazione crescente, anche a causa dell’assurdo smantellamento del Reddito di cittadinanza. Onore, dunque, a questa generazione battagliera. Onore al loro coraggio, alle loro manifestazioni, al loro essere tornati finalmente in piazza e alle loro modalità di protesta assolutamente pacifiche e colorate, capaci di bucare lo schermo e catturare l’attenzione dell’opinione pubblica. E un messaggio rivolto alla politica, più che mai alla sinistra: schieratevi al loro fianco, fate qualcosa, almeno voi che siete all’opposizione anche a causa dei tanti, troppi errori che avete commesso negli ultimi vent’anni e degli innumerevoli cedimenti al liberismo di cui vi siete resi protagonisti.
C’è una generazione che esprime sogni e speranze concrete, proprio come accadde a Seattle nel tardo autunno del ’99 e a Genova nell’estate del 2001. È una generazione fragile ma non rassegnata, che crede nella politica anche se il più delle volte non si riconosce in nessun partito, che non è restia a dialogare con il mondo dell’informazione anche se tende a diffidare di giornali e giornalisti, che ha paura del futuro ma prova comunque a renderlo migliore. È la gioventù di Greta Thunberg, di Ultima Generazione, delle prese di posizione a favore dell’ambiente e ora, finalmente, anche delle battaglie sociali. È la gioventù che ha riscoperto la passione politica e civile dopo il torpore che fece seguito alla tragedia del G8, quando un’intera generazione venne annientata e si creò un distacco dalla cosa pubblica di cui stiamo ancora pagando a caro prezzo le conseguenze. Questa generazione mette in discussione il merito inteso come darwinismo sociale, la scuola nozionistica, lo sviluppo insostenibile, l’economia piegata interamente alla finanza, lo strapotere delle banche e l’esaltazione acritica di modelli sbagliati come quello di Milano, tanto rutilante quanto impraticabile per chiunque non abbia un reddito abbastanza consistente.
Non solo: i ventenni di oggi contestano, a ragione, un’università che si basa sul numero chiuso, sull’ansia e sullo stress, sulla logica pericolosa della prestazione al di sopra di tutto e sul trionfo della performance elevata a suprema virtù, quando invece si tratta di una barbarie. Questa generazione, più pacata e riflessiva rispetto a quella sessantottina, meno irruente anche di quella del ’77 e del 2001, questa generazione isolata, senza voce né punti di riferimento, sta trovando, insomma, la propria strada e la sta percorrendo a testa alta. E ci dice che un altro mondo è ancora possibile, che un’altra idea società può e deve essere proposta, che non bisogna smettere di crederci e che la politica deve rinnovarsi a partire da questi temi, specie sul fronte progressista, altrimenti destinato all’irrilevanza. Dal nostro punto di vista le siamo grati, perché ci ricorda tutto ciò che abbiamo sbagliato, tutto ciò che non abbiamo fatto, tutti gli aspetti su cui abbiamo fallito e tutte le riforme che non abbiamo realizzato, a furia di inseguire un riformismo dall’alto inutile e dannoso per la collettività. Possiamo solo chiederle scusa, rimanendo in silenzio, fermandoci ad ascoltarla e prendendo esempio. In pochi mesi, con parole d’ordine semplici e chiare, hanno detto e fatto ciò che avremmo dovuto dire e fare noi le mille volte che ci è mancato il coraggio.
A queste ragazze e a questi ragazzi, che chiedono una società più giusta e più buona, riconosciamo pertanto di essere davvero i partigiani del Terzo millennio, coloro che portano avanti il programma politico della Resistenza: lo stesso che noi abbiamo, invece, ignorato, consentendo a questa destra di equiparare, di fatto, chi si batteva dalla parte della democrazia e della libertà a chi si batteva al fianco di Hitler e dei suoi complici. Perché se oggi siamo ridotti così, ricordiamocelo sempre, non è colpa solo di chi si trova attualmente al governo ma, soprattutto, di chi c’è stato ieri e, spesso, ci ha fatto vergognare di avergli accordato la nostra fiducia.
A questa gioventù sanamente ribelle rivolgiamo un in bocca al lupo, con l’auspicio che possano riuscire là dove ad altri è stato impedito di arrivare e dove noi non abbiamo mai nemmeno osato spingerci.

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