Non c’è spazio per i dissidenti, l’altro effetto della guerra

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Tra gli effetti collaterali della guerra tra Russia e Ucraina c’è anche la restrizione degli spazi per l’accoglienza e per il dissenso che storicamente i paesi del nord Europa hanno garantito nel corso dei decenni a tanti profughi in fuga da regimi totalitari. Non a caso molti oppositori africani (in primis somali) hanno trovato in queste nazioni una seconda (ed accogliente) casa.

Svezia e Finlandia sono stati fino a ieri paesi neutrali, uno status orgogliosamente rivendicato anche negli anni duri della guerra fredda ma alla luce del conflitto russo-ucraino e con il timore che l’espansionismo moscovita possa tracimare nei loro territori nazionali si è fatta più pressante la richiesta di entrare a far parte della Nato per assicurarsi un ombrello protettivo.

Però da maggio la Turchia si oppone al loro ingresso nell’alleanza atlantica perché Svezia e Finlandia non avrebbero ancora adeguato i loro standard di sicurezza, in particolare sul tema dell’estradizione di sospetti ricercati dalle autorità di Ankara, secondo cui in queste nazioni sarebbe in corso una “massiccia propaganda delle forze del terrore”. Detto in soldoni, il governo presieduto da Erdogan pretende l’estradizione di militanti e simpatizzanti dei movimenti classificati dalla Turchia come terroristi che comprendono non solo i curdi del Pkk (Partito dei Lavoratori del Kurdistan) ma anche i seguaci dello studioso islamico moderato Fethullah Gulen, costretto a vivere in esilio negli Stati Uniti per le sue posizioni considerate troppo liberali e democratiche dai sostenitori di Erdogan, che lo accusa di aver organizzato il fallito colpo di stato del 2016.

Ankara tiene così sotto scacco Stoccolma e Helsinki. Il no turco all’ingresso nella Nato sta condizionando la loro politica. Ma ora nella azione di governo svedese (da ottobre guidato da una coalizione di destra con l’appoggio esterno dell’estrema destra) si è aperta una falla, prontamente apprezzata dai turchi che definiscono il nuovo esecutivo “più determinato del precedente perché ha compiuto passi positivi che hanno facilitato i rapporti”.

Nella notte tra il 2 ed il 3 dicembre infatti un curdo, condannato in Turchia a sei anni e dieci mesi di carcere per appartenenza al Pkk, è stato estradato ad Istanbul dopo l’arresto della polizia svedese. L’uomo era scappato in Svezia nel 2015 proprio per sfuggire alla sentenza ma la sua richiesta di asilo è stata respinta.

Si teme che questa estradizione non resterà purtroppo isolata ed a breve altre ne seguiranno. Il ricatto turco ad un governo di destra intenzionato a rivedere le politiche di accoglienza (che hanno fatto della Svezia un consolidato modello di democrazia) rischia di influire su tutta l’Europa. Ed il vento che soffia non è dei migliori.


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