Scatta il tic poliziesco nel governo Meloni

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Rave party. La scrivania di Giorgia Meloni è piena di gravi emergenze da affrontare: la guerra in Ucraina, il caro bollette, l’inflazione galoppante, l’economia in affanno, il Covid ancora in agguato.

Eppure la presidente del Consiglio ha messo in primissima posizione il problema dei rave party, cioè le feste illegali dei ragazzi. Il nuovo governo di destra-centro nel suo primo decreto legge ha messo sul banco degli imputati il rave party introducendo una apposita figura di reato nel codice penale.

La scintilla l’ha fatta scattare il rave party di Modena: circa 3.500 ragazzi provenienti da mezza Europa hanno occupato abusivamente un capannone. Musica, balli scatenati, alcool sono stati i protagonisti (probabilmente assieme agli spinelli) dell’appuntamento. La polizia ha ordinato lo sgombero avvenuto pacificamente, dopo forti tensioni.

Nel governo Meloni, però, è scattato un singolare tic poliziesco. Ha subito tirato fuori dal cassetto un nuovo reato targato rave party: è prevista la reclusione fino a 6 anni. Il comma uno del nuovo articolo 434-bis del codice penale punisce «l’invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica».

Si prepara una dura battaglia in Parlamento per la conversione in legge del decreto. La normativa ha due difetti. Il primo: le regole legislative per intervenire già c’erano, non a caso lo sgombero di Modena è avvenuto prima dell’operatività del nuovo reato. Secondo difetto: la normativa è troppo generica, potrebbe attentare alla libertà di manifestare, corre il rischio di essere applicata anche contro proteste sindacali e studentesche in caso di occupazione di una fabbrica o di un liceo.

Le opposizioni lanciano una valanga di critiche: bollano il decreto perché “illiberale”, “liberticida”, “fascista”. Enrico Letta chiede al governo di “ritirare” il decreto: «È un gravissimo errore». Il segretario del Pd è allarmato: «È la libertà dei cittadini che così viene messa in discussione».

I duri del governo, però, non vogliono sentire ragioni. Giorgia Meloni difende il decreto anti rave party: è «una norma che rivendico e di cui vado fiera». La presidente del Consiglio, presidente di Fratelli d’Italia, dichiara: «L’Italia -dopo tanti governi che hanno chinato la testa di fronte all’illegalità- non sarà più maglia nera in tema di sicurezza». Respinge le preoccupazioni e le critiche delle opposizioni, definite “strumentalizzazioni”, su diritto a manifestare: «Non negheremo a nessuno di esprimere il dissenso». Matteo Salvini è ugualmente intransigente. Il vice presidente del Consiglio, ministro delle Infrastrutture e segretario della Lega, respinge ogni critica: «Indietro non si torna, le leggi finalmente si rispettano».

Silvio Berlusconi invece nutre dei dubbi. Giorgio Mulè, vice presidente della Camera, Forza Italia, prima premette: «Non è una legge liberticida». Ma poi avverte: « È un decreto legge da modificare e migliorare in Parlamento». Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi sdrammatizza. In una intervista al ‘Corriere della Sera’ rigetta i dubbi e le accuse sulla possibile applicazione del decreto anti rave party anche ad altri campi. «Trovo offensivo attribuirci la volontà di intervenire in altri contesti, in cui si esercitano diritti costituzionalmente garantiti a cui la norma chiaramente non fa alcun riferimento».

Il decreto anti rave party, oltre a costituire un errore, certamente non è una priorità per l’Italia. L’esecutivo e la maggioranza di destra-centro partono con il piede sbagliato nella loro navigazione governativa. Forse il decreto è uno spot indirizzato all’elettorato della destra più radicale, quella più affezionata all’ordine e al codice penale. Tuttavia la maggioranza degli elettori della coalizione guidata da Giorgia Meloni, che ha vinto le elezioni, sa valutare come trattare con misura una festa di ragazzi anche se organizzata illegalmente occupando abusivamente una struttura. Il decreto anti rave party rischia di essere un autogol per il governo Meloni.


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