Adieu Jean-Luc Godard, l’enfant terrible che non scendeva a compromessi

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Rolle, 13 settembre 2022, nella sua casa sulle rive del Lago Lemano in Svizzera, Jean-Luc Godard, il maestro Godard, ha girato la sua ultima scena. Nel 2018 al Festival di Cannes è stato presentato il suo ultimo film Le livre d’image, ma già ottantasettenne non si presentò alla proiezione, collegandosi in video chiamata giustificò la sua assenza dichiarando: “A questa età ho difficoltà a vivere la mia vita, ma ho ancora il coraggio di immaginarla”. Non era malato, una fonte vicina alla famiglia ha dichiarato a Libération che era “semplicemente esausto” ed “aveva quindi preso la decisione di farla finita”. Ha smesso di immaginarla la sua vita, e martedì mattina è arrivato il momento di mettere per l’ultima volta la parola ‘fin‘, questa volta non a chiusura dei suoi film, ma ricorrendo al suicidio assistito. Nato a Parigi il 3 dicembre 1930, da una famiglia benestante compie i primi studi in Svizzera, tornato a Parigi frequenta il Lycèe Buffon e poi l’università Sorbonne. È un assiduo spettatore dei piccoli cineclub del Quartiere Latino e della Cinémathèque diretta da Henri Langlois, insieme all’amico Francois Truffaut, con il quale in seguito litigherà bruscamente. All’epoca la sua ambizione era quella di pubblicare un romanzo con Gallimard ma il suo esordio nell’attività letteraria avviene quando nei primi anni ’50 cerca di pubblicare degli articoli su La revue du cinéma, dove scriveva André Bazin, usando lo pseudonimo di Hans Lucas. I suoi articoli vengono rifiutati. Lo stesso avviene quando tenta su Objectif 49 e Ciné-Club du Quarter Latin. Il suo primo testo, un articolo sul cinema russo, viene pubblicato sulla Gazzette du cinéma. In seguito le collaborazioni con Arts e il primo articolo sui Cahiers du cinéma, dove scrive un pezzo su un film di Rudolph Matè. Il suo primo lungometraggio, A’ boute de souffle (1960) è considerato da molti il manifesto della Nouvelle Vague. Girato in soli 23 giorni con mezzi di fortuna tra le strade di Parigi, viene realizzato nell’estate del 1959 grazie alla solidarietà di Francois Truffaut e Claude Chabrol, che il 9 maggio 1959 scrivono a Cannes una lettera al produttore George de Beauregard per farsi garanti il primo della sceneggiatura e il secondo della regia. Con Truffaut ebbe un rapporto che lui stesso definì “più che altro professionale e di amicizia…da bambini abbandonati”, che finirà in seguito ad uno scambio epistolare carico di insulti avvenuto dopo l’usciva del film di Truffaut Effetto notte (1973). Sebbene la stima e l’affetto fossero reciproci, lo scontro era inevitabile. Lo stile di Godard era più radicale ed aveva già iniziato a prendere le distanze dal collega quando, nel 1969 entrato a far parte del gruppo Dziga Vertov, si dissocia dall’affermazione di Truffaut: “Ci sono solo gli autori, non ci sono le opere”.

L’intero lavoro del regista ‘cine-fil‘ oltre che ‘cinephile‘, è una riflessione sul linguaggio cinematografico che si colloca a metà strada tra filosofia, scienza e letteratura, caratterizzato da uno stile eversivo, sfacciatamente controcorrente e in aperta rottura con il cinema dei padri. È stato al tempo stesso regista, critico, divulgatore di un pensiero anticapitalista e contro la cultura di massa, poeta e pittore di indimenticabili immagini filmiche. Ha realizzato più di 150 opere tra corti, lungometraggi e video, ma tra tutti i suoi film quello che meglio rappresenta il suo spirito di contraddizione, il suo modo di far cinema anticonvenzionale, totalmente disinteressato dell’apprezzamento del pubblico, poco incline a sottostare alle regole dell’industria cinematografica è Le Mépris.

Tratto dal romanzo Il disprezzo di Alberto Moravia, pare sia stato Roberto Rossellini a suggerire il soggetto a Godard e quando nel 1963, ancora molto giovane, lo adatta per il cinema non intende rispettarne il punto di vista, detesta l’idea di una forzata convivenza umanistica del regista e dello scrittore e ne ribalta il punto di vista. Al romanzo di Moravia non chiede niente di più che una trama e il soggetto di Le Mépris cambia. Non è più la storia di uno sceneggiatore che scopre il disprezzo della moglie ma è quello di una moglie che disprezza il marito incapace di ribellarsi ai compromessi economici e morali di certa produzione cinematografica e che per incomprensione e incomunicabilità la spingerà ad assecondare la corte del produttore del film per cui sta lavorando. Godard a differenza del protagonista Paul Javal, uno sceneggiatore che deve fare i conti con la difficoltà di realizzarsi in un mondo moderno fatto di individui costretti ad accettare ciò che vogliono gli altri, non intende scendere a compromessi, e questo lo porterà a inseparabili contrasti. Il film prende vita ancora una volta grazie a George de Beauregard ma questa volta in associazione con il produttore italiano Carlo Ponti e la partecipazione finanziaria del distributore americano Joseph E. Levine.

Il budget è altissimo e gli vengono messe a disposizione stars internazionali con le quali mai avrebbe pensato di lavorare. La protagonista femminile è Brigitte Bardot, affiancata da un giovanissimo e poco noto Michel Piccoli, nei panni di Paul Javal, nel cast c’è anche l’americano Jack Pallance e la specialissima partecipazione del regista Friz Lang nel ruolo di sé stesso, che ama Le Mépris ed è fiero di recitarvi. Ma gli interessi di coloro che lavorano alla realizzazione del film sono inconciliabili: Godard intende realizzare un’opera che sia espressione della sua personalità artistica, Ponti e Levine desiderano un film commerciale, de Beauregard vorrebbe estendere i successi del fenomeno Nouvelle Vague al pubblico di massa. Lo scontro è inevitabile. I contrasti iniziano durante le riprese, il rapporto di Godard con gli interpreti è segnato dall’incomunicabilità. In un’intervista uscita nel 1990 su Cahiers du cinéma, Michel Piccoli dichiarò che sul set si erano venuti a formare tre clan, uno formato da lui, Godard e Friz Lang, uno formato dalla Bardot che per nulla appassionata al suo mestiere a poco a poco si era isolata, e un terzo dal solo Palance che Godard detestava e Lang considerava uno stupido. I conflitti sul set non fanno altro che dimostrare la ricerca di autenticità che caratterizza l’opera di Godard, che rifiuta l’attore che sa dove volgere lo sguardo e impara il copione a memoria. Godard nei suoi film ha bisogno di avere il controllo dei suoi attori, non si preoccupa di metterli in difficoltà consegnando all’ultimo momento i dialoghi, che spesso non fanno parte della sceneggiatura, ma scritti poco prima di girare la scena. Quando B.B. gira Le Mépris è una star internazionale, definita da Edgar Morin “un mix inedito di straordinaria innocenza ed erotismo”. Godard nelle sue attrici cerca una bellezza vera e decide di avvalersi della notorietà della Bardot per marmorizzarne la sensualità e ci presenta il suo corpo nudo con la stessa plasticità ieratica della statuaria antica. Il rapporto tra regista e attrice è incostante, a tratti giocoso, il più delle volte formale, complicato a volte dai capricci della Bardot che non intende seguire le imposizioni sull’abbigliamento e l’acconciatura. Piccoli, al contrario, è un attore alle prime armi disposto a indentificarsi del tutto con il suo regista, tanto da indossare lo stesso cappello. Con il regista tedesco Fritz Lang, l’ammirazione è reciproca, il giovane regista è affascinato dal maestro che a sua volta è affascinato dal giovane talentuoso francese. Di tutt’altra natura il rapporto con Jack Palance. La tensione tra i due sul set è palpabile nella scena in cui Jeremiah Prokosch, il produttore interpretato da Palance, getta a terra con violenza delle bobine, un gesto inconsulto e inaspettato.

Se i rapporti con gli attori non sono idilliaci, quelli con i produttori diverranno inconciliabili. Le prime divergenze si manifestano sulla scelta dei protagonisti. Godard vuole Frank Sinatra e Kim Novak, Ponti invece Sophia Loren e Marcello Mastroianni. La scelta di B.B. metterà d’accordo tutti.

Le riprese terminano l’8 luglio 1963 e Godard a metà mese è già in grado di presentare una copia del film, desidera proiettarlo al Festival di Venezia. Luigi Chiarini, allora direttore del Festival è pronto ad inserirlo nell’elenco delle pellicole fuori concorso. La visione, però, non suscita lo stesso entusiasmo in Ponti e Levine che temendo le critiche si oppongono alla partecipazione al Festival di Venezia. Questo rifiuto segna l’inizio del braccio di ferro tra Godard e i produttori. George de Beauregard scioglie la società con Ponti e la Bardot minaccia di togliere il suo nome dai titoli di testa. Ponti e Levine insistono affinché Godard giri altre scene supplementari di nudo della Bardot per rendere il film più commerciale. Godard in tutta risposta a metà settembre rimonta completamente il film rendendolo improiettabile. I produttori però riescono a recuperare il negativo del film e lo trasformano nella versione de Il disprezzo che viene ufficialmente proiettata nelle sale italiane. Godard ne interdice la proiezione in Francia e pretende che il suo nome venga ritirato dai titoli di testa della versione italiana. L’escalation è appena iniziata, Godard ha uno scontro verbale e fisico con Simone Schiffrin, braccio destro di Ponti, che tenta di convincerlo a non ritirare il suo nome. Citato in giudizio da Schiffrin, che lo accusa di averlo percosso, è costretto a cedere alla richiesta di girare altre scene di nudo, ma riesce a capovolgere la situazione a suo favore e realizza delle sequenze che nulla hanno a che vedere con la richiesta di mercificazione della star e in perfetto accordo con il suo stile sono pervase da un’intensa poesia. Indimenticabile la musica del Théme de Camille di George Delerue.

Il 29 ottobre 1963 Il disprezzo di Ponti viene proiettato per la prima volta al cinema Mignon di Milano. Il giorno seguente Godard va a Roma per partecipare ad una conferenza stampa inedita in cui spiegherà i motivi che lo hanno spinto a togliere la sua firma da un film che non considera più suo perché stravolto nel montaggio, nella musica e nei dialoghi. Il 5 marzo 1966 nella saletta dell’ANICA a Roma si svolge una proiezione del tutto privata della versione originale di Le Mépris, tra gli invitati c’è Vittorio De Sica. A distanza di tre anni dall’uscita nelle sale italiane viene svelata l’opera autentica consentendo ai presenti di riconoscere nella copia italiana il più clamoroso caso di tradimento dell’originale. E da allora circoleranno due pellicole sorelle antagoniste: Il disprezzo di Carlo Ponti e Le Mépris di Jean-Luc Godard. Ponti, paradossalmente, ha concesso a Godard la possibilità difendere il suo pensiero, e come dichiara Fritz Lang a Jeremy Prokosch in una scena del film: “Each picture should have a definite point of view Jerry! “

Tralasciando una più approfondita indagine sulle innovative capacità tecniche di Godard, la sua forza è stata sempre quella di sostenere con fermezza il suo pensiero, le sue idee, intellettuali e politiche, e di non piegarsi ai volgari interessi del box office, difendendo ad ogni costo l’identità dei suoi lavori, anzi, capolavori.

E se, come diceva lui, una storia deve avere un inizio, una parte centrale ed una fine, ma non necessariamente in questo ordine… che per Lei questo sia un nuovo inizio maestro.


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