Dalla parte delle Donne in poesia, Luisa Bergalli curatrice della prima antologia poetica di Rimatrici italiane

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“Dalla parte di Lei” dedica questo ultimo lunedì di giugno a Luisa Bergalli, una letterata veneziana del Settecento che da vera antesignana si è prodigata per rendere meno invisibile la produzione letteraria delle donne che l’avevano preceduta, ricostruendone per prima una genealogia letteraria. Adriana Chemello ce ne racconta la storia.

Scrive Daniela Brogi in Lo spazio delle donne (Torino, Einaudi, 2022): «L’assenza delle donne e delle autrici dalla considerazione e dalle pratiche di riconoscimento pubblico e duraturo è una figura strana ed enorme davanti agli occhi di tutti, ma di cui non si discute in maniera collettiva; proprio come se si trattasse di un grosso elefante, o per meglio dire un’elefantessa intrappolata in una stanza dove si continua a conversare amabilmente, fingendo di non vedere».

Questa «elefantessa intrappolata» deve essere liberata per restituirle la sua necessaria visibilità ma soprattutto per ristabilire un nuovo ordine simbolico. È quanto si sta facendo in ambito storico e letterario da decenni da parte di tante studiose, che hanno dedicato impegno e ricerche per restituire visibilità a tante donne del passato e alle loro opere dell’ingegno, oscurate, silenziate, internate rese invisibili per secoli. Adriana Chemello è una protagonista di questo lavoro. Ricordo che mi regalò un libro da lei curato alla fine degli anni ’80. Si trattava de “Il merito delle donne” di Moderata Fonte, pseudonimo di Modesta Pozzo una cittadina veneziana (1555-1592): fu Adriana a riscoprire il suo lavoro pubblicato postumo solo una volta nel 1600. Rimasi colpita da questo lavoro di straordinaria modernità che l’incipit di un sonetto recitato da Corinna, una tra le donne dialoganti ne “Il merito delle donne”, esprime con lucentezza:

Libero cuor

Nel mio petto soggiorna

Non servo alcun

Né d’altri son che mia

MGG

 

 

Il nome di Luisa Bergalli può provocare alle nostre lettrici e ai nostri lettori la stessa esclamazione di stupore del manzoniano don Abbondio alle prese con la lettura di un libro: «Carneade? Chi era costei?». La storia di Luisa Bergalli, affiliata giovanissima tra gli Arcadi con il nome di Irminda Partenide, è stata oscurata a partire dalla storiografia letteraria ottocentesca che con scarso discernimento critico, non esente da malafede, ha riproposto per inerzia i malevoli giudizi formulati su di lei dal cognato Carlo Gozzi nelle pagine autobiografiche delle sue Memorie inutili.

Nominata con parsimonia nelle storie letterarie come la “moglie” di Gasparo Gozzi, ritenuta responsabile delle tormentate relazioni familiari con la suocera Angela Tiepolo e delle croniche difficoltà economiche della famiglia Gozzi, Luisa Bergalli è stata finora considerata nella storia della cultura veneziana del Settecento una figura dal profilo opaco e marginale, da abbandonare ai margini del quadro, tanto che molte delle sue numerose traduzioni dal francese sono uscite anonime e alcune con il solo nome del marito.

Solo in anni recenti, grazie a serie ricognizioni documentarie, a ricostruzioni bibliografiche accurate, ai nuovi studi intorno alla famiglia Gozzi con il fortunoso recupero dell’archivio familiare conservato nella Villa Gozzi di Visinale, si sta restituendo al profilo letterario di Luisa Bergalli la sua originalità e modernità. Non solo, è risultato chiaro che è stata lei a guidare i primi passi di Gasparo e di Carlo sui sentieri della poesia; ed era lei al centro di una fitta rete di relazioni intellettuali nella Venezia del suo tempo. Dentro la filigrana di una quotidianità pur mortificata da avversità fisiche ed economiche, soprattutto dopo il matrimonio del 1738 con Gasparo Gozzi che la rende madre di cinque figli dal 1739 al 1744 (con l’intermezzo di un aborto spontaneo nel 1741, ben documentato nelle lettere di Gasparo), il ritratto della letterata Bergalli risulta molto ben definito dalla sua presenza nell’editoria veneziana del tempo con opere che recano il suo nome impresso nel frontespizio in qualità di “autrice” o in qualità di “allestitrice” di raccolte poetiche. Così come sono note le sue frequentazioni della bottega di Rosalba Carriera, rinomata pittrice veneziana del tempo, anzi la stessa Bergalli sembra sia stata introdotta da lei all’arte della pittura. Bergalli si avvarrà della bottega di Rosalba, nella fattispecie delle prestazioni di Felicita Sartori, sua allieva prediletta, per ornare con incisioni i frontespizi dei suoi libri (si veda in particolare il ritratto di Gaspara Stampa collocato nell’antiporta del volume che ne ripropone le Rime nel 1738).

Poetessa, drammaturga, traduttrice e critica letteraria, Luisa Bergalli era nata a Venezia il 16 aprile 1703 dal piemontese Giovan Giacomo Bergalli e da Diana Ingalli, cittadina veneziana. Aveva avuto buoni maestri nell’apprendimento della lingua italiana e latina e la possibilità di frequentare due importanti biblioteche private: quella di Apostolo Zeno che anche dalla corte di Vienna le indirizza generosi consigli e si fa revisore delle prime prove drammaturgiche; quella del veneziano Jacopo Soranzo tramite il suo conservatore Antonio Sforza.

Il suo battesimo letterario avviene nel 1725 quando sul palcoscenico del teatro San Moisè viene rappresentato il melodramma, Agide re di Sparta, musicato da Giovanni Porta, e proposto alla direzione del teatro con un abile escamotage da Apostolo Zeno, che il giorno dopo la recita elogia entusiasta il talento della giovane promessa con una recensione sul «Giornale de’ letterati d’Italia».

L’anno successivo pubblica I componimenti poetici delle più illustri rimatrici d’ogni secolo, la prima antologia della poesia femminile voluta e realizzata da una donna. Nel 1726, la giovane letterata Luisa Bergalli, allora ventitreenne, al suo esordio critico-letterario con I componimenti poetici delle più illustri rimatrici d’ogni secolo, si propone di illustrare i meriti letterari delle donne raccogliendo in un libro in due tomi, accanto alle letterate «famose», «tant’altre degne di esserlo, né so per qual loro mala sorte poco meno che incognite alla Repubblica letteraria». Nella dedicatoria al Cardinale Pietro Ottoboni la curatrice presuppone in lui, eletto a illustre mallevadore della sua «onorata fatica», uno sguardo benevolo non contaminato dal pregiudizio misogino e pertanto ricettivo nei confronti della novità e della bontà della «raccolta» che gli viene offerta in dono.

Oltre che nel frontespizio della raccolta, il nome di Luisa compare tra le Rimatrici viventi in qualità di autrice di un manipolo di componimenti (dieci sonetti e una canzone) tra i quali figura il suo autoritratto:

 

Dell’anno la stagion dolce, e primiera

Menava il terzo Sole a questa etate,

Quand’io prima spirai di libertate

L’aure nella Città, che al mare impera.

 

 

Il sonetto esordisce con un’allusione al suo genetliaco (terzo anno del nuovo secolo) e l’elogio di Venezia, «città divina» dove nelle tante vie d’acqua che la intersecano, specchiandone i sontuosi e dorati palazzi patrizi, s’affaccia anche la sua casa natale, dove ha iniziato ad affermare il suo spirito libero.

Questa «fatica letteraria» di Luisa Bergalli è la prima antologia della poesia femminile voluta e realizzata da una donna, un vero e proprio gesto inaugurale, assimilabile per impatto simbolico al gesto compiuto dalle Précieuses in Francia, che vuole suggerire un «canone di lettura» non certo alternativo ma imprevisto e tale da non passare inosservato. Passeranno ben due secoli prima che un’altra donna, Jolanda De Blasi, realizzi un’impresa analoga con l’Antologia delle Scrittrici italiane dalle origini al 1800 (Firenze, Casa Editrice “Nemi”, 1930).

Luisa Bergalli è consapevole della novità ed eccezionalità della sua «onorata fatica» con la quale si prefigge di testimoniare l’esistenza dei «femminili ingegni», mostrandone le qualità e abilità poetiche. Ricostruendo la mappa della produzione poetica femminile attraverso i secoli ne disegna una «geografia» ed una «genealogia» per meglio illustrare i meriti acquisiti dalle donne che hanno saputo coltivare le caste muse della poesia. Sua preoccupazione è infatti di documentare, accanto ai nomi delle poetesse famose e già celebrate, i nomi di quelle «incognite alla Repubblica letteraria», perché anche di costoro si conservi memoria. Restituendo valore alle donne letterate che l’hanno preceduta Luisa Bergalli auspica di ricevere qualche merito per sé:

 

desiderio mi prese di voler io tale onorata fatica intraprendere: per due ragioni in questo appagando me stessa, l’una perché così apro la strada, onde ritornar possa gloria, ed onore alle men conosciute, l’altra perché mi lusingo di acquistare a me ancora un qualche compatimento.

 

L’opera è stata di recente riproposta in edizione anastatica (Venezia, Editrice Eidos, 2006), dopo essere stata a lungo trascurata e abbandonata nell’oblio. Era uscita in due volumi dai torchi del tipografo veneziano Antonio Mora nel 1726. Sfogliando i due volumetti si ha la gradevole sorpresa di accostare un piccolo «archivio» di testimonianze poetiche femminili, un «regesto» di presenze che riunisce insieme rime e componimenti sparsi, di diversa forma metrica, di duecentocinquanta poetesse dal Duecento al Settecento. Il primo volume «che contiene le Rimatrici Antiche fino all’Anno 1575» conta 114 presenze. Il secondo volume, dedicato al tardo Cinquecento ed al Sei-Settecento, «che contiene le Rimatrici dell’Anno 1575. fino al presente», ne aggiunge altre 136, di cui ottanta attive negli ultimi decenni del Cinquecento e nel Seicento, e altre cinquantasei inserite in una appendice e rubricate come «viventi».

Nell’«avviso» A chi legge, che segue la dedicatoria, la curatrice illustra la configurazione complessiva della raccolta, ne indica gli obiettivi, le modalità di realizzazione. Con toni sfumati, senza mai nominare la querelle sugli «studi delle donne», che in quegli anni era al centro di una disputa tra gli Accademici Ricovrati di Padova (Accademia fondata a Padova nel 1599, poi denominata Accademia galileiana di scienze lettere ed arti), l’avviso si riconnette idealmente alla tradizione femminile veneziana, nominando le «valorose Donne» che sono «negli studj più gravi riuscite»: Cassandra Fedele, Collaltina Collalto, Lucietta Soranzo ed Elena Cornaro Piscopia. Premessa all’encomio delle donne illustri veneziane, una citazione del Floridoro di Moderata Fonte, collocata quasi a mo’ di epigrafe, conferma con la parola autorevole di un’altra letterata veneziana illustre che «se il numero delle Donne famose a quello degli Uomini non corrisponde» ciò è da imputarsi esclusivamente all’interdizione dagli studi, perpetuata per secoli nei confronti del gentil sesso.

Il risultato del lavoro compiuto da Luisa Bergalli è una storia letteraria al femminile che insiste consapevolmente su una parzialità intrinseca al soggetto che scrive: la declinazione del nome sul paradigma del femminile. Una storia della tradizione lirica femminile selezionata a partire da una scelta di campo o meglio di «genere». Una storia che squaderna presenze «sconosciute» (incognite), una storia di «soggetti desueti» per assenza di consuetudine e di tradizione, in quanto – come recita l’avviso A chi legge – «a motivo di una vecchia costumanza […] a tutt’altro che agli studi vengono le Donne applicate».

Un’operazione storiografica marcata da una parzialità che si compensa nell’abbondanza di materiale documentario a cui restituisce visibilità e nell’ampio respiro cronologico. Un viaggio avventuroso fra brani poetici dove la registrazione di presenze oscure e deboli accanto a quelle più illustri e già considerate “canoniche”, l’accostamento di sonetti, canzoni, capitoli accanto a canzonette ed anacreontiche, a epistole in versi o madrigali, sembra a tratti eclissare la presenza della curatrice che tuttavia controlla dall’esterno, vigila e osserva il risultato della sua fatica.

Più che ad una narrazione storica siamo di fronte ad una «rappresentazione», ad un’avventura imprevista tra «componimenti poetici» ricopiati e riproposti, secondo una sequenzialità logico-cronologica, per dare voce e consistenza storica a tante figure di letterate, rimatrici o improvvisatrici, poetesse o pastorelle arcadi, lasciando alla curatrice uno spazio discreto per brevi didascalie informativo-orientative (le note bio-bibliografiche che accompagnano le voci della raccolta).

La scelta dei testi poetici da antologizzare non è casuale, bensì è abitata da intenzioni precise, da una procedura che esibisce una solida competenza intertestuale, una capacità di spostarsi da un testo all’altro, un’agilità nello scoprire nomi, nel riconoscere similarità, nello stabilire analogie tematiche tra enunciati appartenenti a corpi testuali diversi, a registri linguistici e a forme metriche difformi.

Dopo I componimenti poetici delle più illustri rimatrici d’ogni secolo, l’attività creativa di Luisa Bergalli sperimenta diversi generi teatrali: il melodramma Elenia nel 1730, rappresentato al Teatro Sant’Angelo con musica di Tommaso Albinoni; l’oratorio Eleazaro nel 1739, con musica di Giuseppe Bonno. Nel 1728 compone la tragedia Teba e, due anni dopo, scrive Le avventure del poeta, una commedia originale sia sul piano formale che tematico, affidando al testo qualche discreto sigillo autobiografico. La passione per il teatro la impegna in una intensa attività traduttoria dal teatro terenziano, di cui dà conto il volume Le commedie di Terenzio tradotte in verso sciolto da Luisa Bergalli fra gli arcadi Irminda Partenide, pubblicato a Venezia nel 1733. Collabora inoltre con qualche traduzione all’antologia del Teatro ebraico e, nel 1756 traduce Le Amazzoni di Madame Du Boccage.

La pratica poetica la accompagna per tutta la vita. Tra le raccolte d’occasione ricordiamo le Rime di donne illustri a sua eccellenza Caterina Dolfin cavaliera e procuratessa Tron, da lei curate nel 1773, un estremo riconoscente omaggio a una donna che aveva creduto nel suo ingegno.   

Dodici anni dopo la stampa dei Componimenti poetici, Luisa Bergalli cura l’edizione delle Rime di Gaspara Stampa (stampata a Venezia, presso Francesco Piacentini nel 1738), riproponendo la prima ed unica edizione cinquecentesca del 1554. L’operazione di repechage voluta (e forse finanziata) dal Conte Rambaldo di Collalto, è realizzata grazie alle cure ed alla pazienza di Luisa, che si preoccupa di scegliere l’incisora per il ritratto di Gasparina, nella bottega di Rosalba Carriera, sua maestra e amica. Il nome della Bergalli, che non compare nel frontespizio, firma la dedicatoria in versi sciolti rivolta «A Sua Eccellenza il Signor Conte Antonio Rambaldo di Collalto», indicando così, secondo le consuetudini del tempo, la curatela del volume.

Nel riproporre le «meste rime» della illustre e sfortunata poetessa del Cinquecento, Luisa Bergalli ricostruisce una genealogia letteraria, realizzando una forma di inedito rispecchiamento: come le rime d’amore sottrassero dall’oblio il nome di Gaspara, ora con un procedimento speculare, questa raccolta di versi illustrerà ed onorerà la nuova Anassilla veneziana. (Anassilla era la denominazione assunta da Gasparina, dal fiume Anasso cioè il Piave).

Gaspara, nel tornare a parlare attraverso le sue Rime, non racconta soltanto il dolore per il suo amor infelix, bensì si inscrive (grazie alla mediazione di Luisa) in una linea genealogica femminile:

 

Se all’affannato ingegno aita porgi,

                        In bel cheto riposo i dolci Versi

                        Canterò di Costei, che per tuo dono

                        Risorge al Mondo, in fin ch’io sia possente

                        Di seguir sue bell’orme, e venga un giorno,

                        Che con più degne, e luminose note,

                        E con più chiaro, e più nobil volume

                        Io narri quel, che or solo adombro in parte.

 

 

L’effige della poetessa arcade Irminda Partenide, opera dell’incisore Antonio Falconi, orna l’antiporta del primo tomo dei Componimenti poetici. E rimbalza in un breve medaglione, pubblicato nei primi decenni dell’Ottocento, dove rubricandola tra le Donne più illustri del Regno Lombardo Veneto, il compilatore parla di Luisa Bergalli con entusiasmo:

 

Veramente illustre a fior di vocabolo possiamo dir la Bergalli; poiché nessuna nobiltà trasse dalla sua famiglia, la quale fu oscurissima, ma tutta bensì da’ proprj meriti, e dalle proprie virtù. […] Fu poi onorevole tanto quanto gentile il pensiero che cadde in animo alla nostra Luisa di porre in luce una raccolta di poetici componimenti delle più illustri rimatrici di ogni secolo; alla quale impresa fu essa forse condotta non solo per una nobile stima del proprio sesso, ma altresì per dare una solenne mentita a coloro, i quali sono dichiarati nemici degli studj delle donne, in quanto che ad esse o per la natura loro, o per la loro educazione non bene convengano.

 

Gli ultimi decenni di vita di Luisa, segnati dall’indigenza e dall’abbandono, furono funestati dalla malattia che la condusse alla morte il 18 luglio 1779.

Di lei continuano a parlare i Componimenti poetici delle più illustri Rimatrici d’ogni secolo, che una piccola ma intraprendente casa editrice veneziana, la Eidos guidata sapientemente da Vittoria Surian, ha sottratto all’oblio, riproponendone la lettura alle lettrici del terzo millennio.


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