Un film grande a metà… La scelta di Anne-L’èvènement, di Audrey Diwan, Fra, 2021

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Tratto dal romanzo omonimo di Annie Ernaud, ispirato ad una vicenda vissuta dalla stessa scrittrice francese, il film di Audrey Diwan è ambientato nella Francia del 1963, dove si muove la studentessa universitaria di lettere Anne. Divoratrice di Sartre e Camus, la giovane coltiva la passione per la scrittura, con la giusta ambizione di farne la sua professione. Un giorno scopre di essere rimasta incinta. Con grande scandalo delle sue coetanee decide di interrompere la gravidanza. E’ una scelta importante per Anne, dettata dal suo desiderio di realizzazione identitaria, e dunque legata alla consapevolezza di una serenità e di un equilibrio indispensabili per dare seguito ad una maternità consapevole. Ma nella Francia del 1963 l’aborto è ancora vietato (passeranno ancora 12 anni prima che Oltralpe la legge sia finalmente votata in Parlamento, tre anni prima che in Italia). Anne, dunque, dovrà fare da sola, abortire clandestinamente.

A questo punto il film sembra interrompersi in quelli che sembravano essere i suoi propositi iniziali di ricerca e analisi di una situazione critica. Certamente, la Diwan descrive al meglio la profonda solitudine della protagonista, mentre questa cerca il modo di porre fine ad una esperienza per lei impossibile da mandare avanti, ma nello stesso tempo occupa il novanta per cento dello spazio narrativo raccontandoci delle varie modalità con cui Anne cerca di portare a termine il suo proposito. Nessuna riflessione sul gesto che la giovane sta cercando di compiere, nessuna nota indagatrice della sua scelta. L’unica cosa che sembra interessare alla regista transalpina è il come riuscirà Anne ad attuare il suo proposito. Al punto tale che il film sembra più volte virare verso il thriller, scandito dal tempo segnato dalle settimane utili per la giovane a poter realizzare il suo intento.

Stretta in un formato 4:3 utile a raccontare al meglio una vicenda tutta personale e, purtroppo, incondivisa, l’opera seconda della Diwan sembra dimenticare tutte le angosce che una scelta così forte porta con sé, quei drammi intimi e psicologici, squassanti e dirompenti che sono stati alla base del trionfo delle sacrosante leggi abortiste che tante lotte sono costate alle donne di ogni parte del mondo. Proprio perché ambientato nel 1963, il film avrebbe potuto e dovuto raccontare con grande forza e chiarezza queste radici della sofferenza esistenziale di ogni donna coinvolta in questa esperienza, attraverso la figura universalmente simbolica di Anne. Invece, la regista ha ribaltato la prospettiva e ha messo in primo piano la modalità realizzativa, certamente drammatica e coinvolgente, ma da sola insufficiente a fare emergere le ragioni profonde del prima, di ciò che anticipa l’atto finale, non mostrando le inquietudini di una scelta così forte. C’è da chiedersi perché una artista donna non abbia sentito la necessità di andare più in profondità nella disamina di un evento che soltanto la sensibilità femminile può essere in grado di raccontarci al meglio, anche se non sono mancati i capolavori sul tema firmati al maschile, come, ad esempio, i celebri “Un affare di donne” di Claude Chabrol, “Il segreto di vera Drake” di Mike Leigh, “4 mesi, 3 settimane, 2 giorni” di Cristian Mungiu.

Quello che più spiace, però, è che un film così intrinsecamente debole, seppure visivamente forte e incisivo nell’immagine agita sul corpo violato della giovane Anne, rischia di prestare il fianco a chi da posizioni antiabortiste può in esso, paradossalmente, trovare appoggio per l’ennesimo attacco a leggi fondamentali per la dignità di ogni donna. Riprodurre comunicativamente, oggi, anche attraverso una prospettiva storica comparativa, la delicata e fondamentale questione dell’aborto significa farsi carico di anni di cambiamenti culturali imprescindibili per l’intera civiltà umana. A testimonianza di ciò, non è un caso che certa critica più o meno fondamentalista abbia attaccato il film della Diwan, inquadrandolo in quella corrente di pensiero ultraliberista che consentirebbe a ciascuno di agire secondo il solo interesse personale, spinto da una visione edonistica e consumistica di ogni aspetto della vita. Per evitare di incoraggiare questi deprecabili modelli di pensiero, ogni arte, in primis il cinema, caratterizzato da notevoli forme di immediatezza comunicativa, quando si ritrova ad intersecare contenuti ”politici”, dovrebbe cercare di esplicitare al massimo e al meglio, senza dare nulla per scontato, le proprie motivazioni, per evitare fraintesi e analisi tendenziose.


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