Censurare la Cultura è come cancellare la propria storia

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 L’Ucraina, invasa dall’esercito russo, sta suscitando reazioni di condanna per un conflitto brutale che genera indicibili sofferenze e morte nella popolazione civile, oltre a centinaia di migliaia di profughi costretti a lasciare il loro paese. Una tragedia epocale senza senso in cui tutti siamo coinvolti, se pur nella diversità di opinioni, tra chi si esprime pubblicamente attraverso i media e i litigiosi dibattiti in televisione. La parola pace viene pronunciata ovunque, ma sembra ostaggio di decisioni politiche contrastanti e divergenti per le sue modalità di raggiungimento. Le diplomazie appaiono impotenti di fronte all’acuirsi degli scontri armati e al massacro di uomini, donne e bambini torturati, violentati e barbaramente assassinati senza pietà. L’opinione pubblica e i suoi rappresentanti istituzionali si dividono e si contrastano sull’utilizzo di inviare armi all’Ucraina, come mezzo deterrente nei confronti della Federazione russa, unitamente ai provvedimenti di vietare l’esportazione commerciale verso la Russia. L’embargo di materie prime, generi alimentari di lusso e di conseguenza decidere di non importarne il gas che viene prodotto in quella nazione.

Qualunque opinione difforme al pensiero unico genera polemiche e suscita aspre critiche, sfociate anche con atti di censura per impedire a intellettuali, professori universitari e giornalisti di esprimere idee che si discostino con chi non la pensa da quelle di chi non le pensa come loro, anzi, cercando di impedirne la divulgazione. Dopo aver assistito a dibattiti televisivi, in cui il mainstream (la tendenza dominante che in un determinato ambito beneficia di un seguito di massa) si è occupato dell’argomento Covid-19, in cui non a priori non erano ammessi pareri (anche scientifici), non allineati alla narrazione ufficiale. Ora tocca all’Ucraina. in cui la propaganda da entrambe le parti, alimentata da una retorica capace di confondere la realtà dei fatti. In questo clima da caccia alle streghe è stata messa all’indice la cultura russa e i suoi artisti, con l’obiettivo di alimentare una sorta di russofobia al fine di isolare la Russia agli occhi dell’intera comunità mondiale.

Si è venuta a creare una visione distorta che colpevolizza chiunque difenda la libertà alla base dell’espressione artistica. Una polarizzazione utile a suscitare reazioni di censura e accanimento (anche isterico) contro tutto il popolo russo, i suoi artisti, scienziati e intellettuali, contribuendo ad isolare ancor di più persone che si erano comunque espresse contro la scelta di Putin di invadere l’Ucraina: coloro che avevano sottoscritto la loro contrarietà in una lettera aperta e si erano schierati ufficialmente. La reazione non è fatta attendere ed è stata rimossa dal sito dove era stata pubblicata.

Firmata da oltre diciassettemila in cui si dichiarava:

«Noi, artisti, curatori, architetti, critici d’arte, art manager, rappresentanti della cultura e dell’arte della Federazione Russa, abbiamo firmato questa lettera aperta, che noi consideriamo insufficiente ma necessaria, un’azione sulla via della pace tra Russia e Ucraina. A nome della comunità professionale è importante per noi affermare che l’ulteriore escalation della guerra comporterà conseguenze irreparabili per i lavoratori delle arti e della cultura. Questo eliminerà le nostre ultime opportunità di lavorare, parlare, creare progetti, diffondere e sviluppare la cultura. Tutto ciò che è stato fatto culturalmente negli ultimi 30 anni è ora a rischio: tutti i legami internazionali saranno interrotti, le istituzioni culturali private o statali saranno sospese, le partnership con altri Paesi saranno sospese. Tutto ciò distruggerà la già fragile economia della cultura russa e ridurrà notevolmente il suo significato sia per la società russa che per la comunità internazionale nel suo insieme. Sarà quasi impossibile impegnarsi nella cultura e nell’arte in tali condizioni».

Fedor Dostoievsji

Un appello che non è valso a impedire anche in Italia la decisione di allontanare gli artisti russi dai teatri, come è accaduto a Milano al Teatro alla Scala, dove è stato cancellato il contratto con il direttore russo Valerij Gergiev su decisione del sindaco Beppe Sala, presidente dell’ente lirico, causa la sua mancata dissociazione nei confronti della scelta di invadere l’Ucraina, una decisione intrapresa anche da parte di altri paesi. Se i russi vengono allontanati, non va meglio agli artisti ucraini ai quali il governo di Kiev ha imposto il divieto di esibirsi con i colleghi russi o di interpretare coreografie o partiture musicali di origine russa, minacciandoli di essere arrestati una volta tornati in patria. Intimidazioni e divieti che non hanno risparmiato nemmeno Fedor Dostoevskij censurato in modo grottesco. Un divieto poi annullato che prevedeva la cancellazione di lezioni all’Università Bicocca di Milano sull’autore russo, tenute da Paolo Nori, studioso di letteratura russa la cui reazione iniziale all’assurdo provvedimento è stata quella di rendere pubblico il suo disappunto su un suo profilo social: «Censurare un corso è ridicolo. Non solo essere un russo vivente è una colpa oggi in Italia, ma anche essere un russo morto, che quando era vivo nel 1849 è stato condannato a morte perché aveva letto una cosa proibita. Che un’università italiana proibisca un corso su un autore come Dostoevskij è una cosa che io non posso credere ...

Il ripensamento da parte dell’Università non ha cancellato, però, la pessima figura fatta da un’istituzione pubblica che abbia potuto solo pensare di censurare uno scrittore che in vita fu arrestato e condannato a morte, sentenza poi revocata all’ultimo momento. Un tentativo di censura e ostracismo nei confronti della cultura russa che fa a pugni con qualunque logica dettata dalla razionalità e dalla conoscenza in cui la cultura e l’arte in generale non dovrebbero mai essere usate a fini ideologici. Condannare i responsabili di quanto sta accadendo in Ucraina non significa mettere al bando autori, musicisti, letterati, scrittori e artisti solo perché sono russi. Come se Čajkovskij avesse delle colpe per quello che ora stanno facendo contro la popolazione inerme dell’Ucraina, o peggio, censurando le sue opere, venisse ferito l’orgoglio dei russi. A volerlo è lo stesso Zelensky che cerca di cancellare la cultura russa in Europa, in risposta alle intenzioni di Putin che sta cercando di annientare l’Ucraina. In una lettera inviata ad un compositore e pianista russo del suo tempo, Čajkovskij si rivolse a lui così:«…Sono sicuro che nelle mie opere appaio come Dio mi ha fatto e così come sono diventato attraverso l’azione del tempo, della mia nazionalità ed educazione. Non sono mai stato falso con me stesso. Quello che sono, buono o cattivo, lo debbono giudicare gli altri...» .

Ukrainian Classical Ballet

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

In realtà la cultura russa ha un legame particolare con l’Europa da cui ha attinto, come le opere degli architetti italiani o la danza classica che nasce in Italia e a Parigi. Anche la direttrice artistica dell’Ukrainian Classical Ballet, Natalia Iordanov che si è vista impedire la prosecuzione della tournée in Italia, ha commentato così il divieto: «Eliminare Čajkovskij equivale a cancellare le radici stesse della danza classica che prima di essere russo appartiene alla cultura mondialeI nostri ballerini sono stati chiamati dalle direzioni dei loro teatri e minacciati di essere arrestati per tradimento». Il 25 aprile al Teatro Bellini di Napoli, Il lago dei Cigni di Čajkovskij non verrà eseguito, così come è già accaduto in altri teatri italiani, al Comunale di Como, al comunale di Ferrara, alla Tuscany Hall di Firenze, al teatro Rossini di Trieste, al comunale di Lonigo. Nel cast erano previsti anche ballerini ucraini, motivo in più che ha spinto il governo di Kiev a vietare ai suoi connazionali di danzare Il 4 aprile scorso al Teatro San Carlo di Napoli si erano esibiti insieme artisti russi e ucraini per raccogliere fondi da inviare al loro paese e permettere di poter continuare ad esibirsi.

Rossella Battisti giornalista e critica di danza valuta questa decisione assurda questa decisione: «Čajkovskij è nato a mille chilometri a est da Mosca e quindi in Asia, ed è soprannominato “russo europeo” dalla critica che contestava la sua musica quando si ispirava alla tradizione romantica europea a scapito di quella russa. L’ipotesi più accreditata della sua morte è quella di essere stato costretto a suicidarsi a causa della sua omosessualità, condizione non tollerata nella Russia imperiale di quel tempo. Indotto a farlo per lo scandalo suscitato presso la corte zarista. Ora, censurare il Lago dei Cigni è un’assurdità. Tra l’altro le coreografie del primo e terzo atto sono state composte da Marius Petipa, un coreografo francese mentre quelle del secondo e del quarto sono del russo Lev Ivanov. la tecnica del balletto deriva dalla scuola francese e quella italiana. La prima protagonista , inoltre, ad eseguire il balletto nel 1895 fu l’italiana Pierina Legnani. Gli ucraini stanno facendo una cosa insensata e vietare ad una ballerina la danza russa che è nel suo dna è una cosa inconcepibile. Mi viene in mente Italo Calvino nel suo “Le Città invisibili”: “cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”.

Altra cosa è l’antisemitismo di Wagner assunto a simbolo del Reich durante il nazismo. La sua musica veniva utilizzata per accompagnare gli ebrei nelle camere a gas. È plausibile che riascoltare Wagner per gli israeliani possa essere doloroso. Ed è per questo che è stato escluso dai programmi delle sale da concerto in Israele. Tuttavia alcuni direttori d’orchestra come Barenboim non hanno aderito a questa scelta. Quello che fanno ora in Ucraina con la censura è come cancellare parte della loro storia. L’Ucraina e la Russia sono due culture che si sono scambiate molte cose e facendo così significa strappare qualcosa della loro identità comune. Andrebbe, invece, adottata una sospensione del giudizio, altrimenti è un’amputazione da sé. Si può decidere di non ascoltare certa musica ma non di vietarla, questo lo trovo assurdo. Quello che sta accadendo è la stessa cosa del revisionismo storico che rovesciava le statue.

Non devi per forza far coincidere l’opera artistica con un vessillo politico. Vanno fatti dei distinguo. Di Pasolini celebriamo il suo pensiero, i suoi discorsi ma non celebriamo il Pasolini che pagava i ragazzi di borgata. L’essere umano è talmente complesso. Rudolf Nureyev, ad esempio, era una persona piena di ombre ma che ci ha regalato momenti di bellezza universale. Tocca alla giustizia il compito di giudicare. Non sta a noi censurare come una sorte di damnatio memoriae. Suscita qualche perplessità anche la polemica sulla Via Crucis, dove il Papa ha fatto portare la Croce ad una donna russa e una ucraina. È una questione di opportunità: durante lo sterminio degli ebrei sarebbe stato inconcepibile falla portare insieme da un ebreo e da un tedesco. Questa scelta può stridere nel bel mezzo dell’’orrore di una guerra dove si uccide, si tortura, si stupra. Violenza, questa che è una delle conseguenze tragiche che accadono durante un conflitto armato. A me sconvolge ancora di più quando i soldati russi spediscono a casa i vestiti e gli oggetti delle persone che hanno loro stessi ucciso. Questo è ancora peggio. Questa è la banalità del male».

Censurare la cultura russa significa isolare anche tutti quegli artisti che si sono opposti in passato e si oppongono oggi a Putin e alla sua politica. Facendo così si fa un torto a tutti quelli che si sono battuti per la libertà d’espressione pur consapevoli di venire arrestati e condannati. Molti intellettuali russi hanno subito ritorsioni per aver sfidato il potere. Così come è accaduto al fotografo Alexander Gronsky arrestato a Mosca per aver manifestato contro la guerra in Ucraina. Oltre il danno anche la beffa: la sua partecipazione al Festival di Fotografia Europea 2022 di Reggio Emilia è stata annullata, nonostante si fosse esposto a suo rischio e pericolo contro Putin. Censurato due volte.

 

Pëtr Il’ič Čajkovskij  

 

Il pianista russo Aleksey Ljubimov era intento ad eseguire al pianoforte un’opera del compositore ucraino Valentin Silvestrov, in occasione di un concerto per la pace a Mosca e ha ricevuto l’ordine di interromperlo da parte della polizia, con la scusa di un allarme bomba. Ma ha continuato imperterrito a suonare suscitando un’ovazione nel pubblico e il video che circola su internet lo ha fatto conoscere in tutto il mondo. Lorenzo Tosa sul suo profilo facebook, commentando la notizia ha scritto:«Aleksey Ljubimov è un pianista russo di livello internazionale e ha appena compiuto un gesto di assoluta resistenza. L’arte e la musica non devono mai tacere né piegarsi ad alcun potere o censura. Mi inchino a quest’uomo, alla sua grande lezione».

 

Aleksey Ljubimov

 


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