Mastroianni e Dossetti venticinque anni dopo 

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Venticinque anni, tanto è passato da quando ci hanno detto addio due figure straordinarie come Marcello Mastroianni e Giuseppe Dossetti. Due personalità assai diverse, due uomini che hanno poco a che vedere l’uno con l’altro, eppure sono legati dalla stessa passione civile, dallo stesso entusiasmo e dallo stesso amore per il prossimo, caratterizzato da uno spirito di servizio pressoché totale. Perché questa è stata la cifra di entrambi, nel cinema e nella politica, poi nel servizio religioso, infine nella battaglia per la difesa e la salvaguardia della Costituzione.
Marcello Mastroianni, latin lover dal fascino indiscusso, una miriade di film straordinari all’attivo, vitellone e scanzonato con Fellini, benché sempre venato di malinconia e di quel riso amaro che lo ha reso celebre nel mondo, e drammatico, aspro e a tratti devastante nei capolavori di Ettore Scola.
Dossetti, incarnazione del dovere della politica, dell’impegno al servizio del prossimo, della generosità e dell’altruismo, sostenitore della necessità maieutica della politica, ossia del bisogno della stessa di far nascere proposte e riforme dal grembo della società, entrò in aperto contrasto con il realismo degasperiano e ne fu infine avversario, scegliendo in seguito la strada religiosa e il perseguimento del bene comune in altre forme.
Entrambi non hanno mai smesso di amare quell’idea di mondo che era propria degli uomini nati nella prima metà del Novecento, reduci del diluvio della Seconda guerra mondiale, conoscitori dell’abisso, segnati per sempre dalle atrocità di un conflitto che è stato un crogiolo ardente di sofferenze e lutti indicibili.
Ad accomunarli era la profondissima passione per la vita, la visione d’insieme, la saggezza. A dividerli tutto il resto, ma i punti in comune bastano a farne due esempi e due punti di riferimento, a celebrarli insieme e ad esprimere il rimpianto per due perdite che hanno lasciato, e non è retorico farlo presente, un vuoto incolmabile nel panorama artistico e culturale italiano.
Venticinque anni, un quarto di secolo e il degrado è sotto i nostri occhi. Ci mancano due boe alle quale aggrapparci, due ancore che ci avrebbero senz’altro fornito un minimo di sostegno, due sognatori capaci di sperare ancora in un mondo migliore e di provare a costruirlo ogni giorno. La loro assenza è emblematica del nostro vuoto interiore.
P.S. Celebriamo anche il trentesimo anniversario di altri due geni: Pier Vittorio Tondelli, uno di coloro che prima e meglio di altri avevano compreso i tempi nuovi e le avanguardie culturali, artistiche e politiche cui i movimenti degli anni Settanta avevano dato vita, nel frequente silenzio e nella colpevole ostilità della sinistra ufficiale, e Walter Chiari, un mito che ha vissuto meno di quanto avrebbe potuto e di quanto noi avremmo sperato, lasciandoci comunque in eredità una meraviglia ineguagliabile.

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