Maria Grazia Cutuli: sono passati vent’anni, ma sembra ieri

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Quel 19 novembre del 2001 Maria Grazia Cutuli stava cercando di raggiungere  Kabul, una città devastata dalla miseria. Il regime dei talebani era crollato da pochi giorni,i terroristi di Al Qaeda erano in fuga mentre i guerriglieri dell’Alleanza del Nord, nuovi vincitori, si aggiravano per le strade della capitale afghana cercando di rassicurare i suoi abitanti terrorizzati. Ad avere paura erano soprattutto le donne che scivolavano rasenti i muri,avvolte nei loro burqa, ancora memori delle violenze inflitte in passato anche da quelli indicati come i nuovi vincitori.  Il paese era in preda alla totale illegalità e Maria Grazia Cutuli, spinta dalla passione per il suo mestiere di inviata, era in viaggio su una tra le strade più pericolose del mondo dopo essersi fermata  alcuni giorni a Jalalabad per indagare su Al Qaeda. Il suo ultimo articolo pubblicato proprio il giorno della sua morte racconta delle fiale di gas nervino che aveva rinvenuto in una caserma dell’organizzazione di Osama Bin Laden che aveva trasformato l’Afghanistan in un  centro di addestramento per terroristi da tutto il mondo  …..Una scatola intera, forse dimenticata durante la fuga. Oppure lasciata apposta, come segno di avvertimento ai futuri profanatori”.- scrive la Cutuli-“L’abbiamo scoperta a Farm Hada, Un posto sperduto in mezzo a una landa rocciosa, a un’ora di macchina dalla città. Ci arriviamo percorrendo una pista di sabbia che si addentra per chilometri, in una vallata bruciata dal sole. Un’area inaccessibile fino a qualche giorno fa. Off-limits per chiunque non fosse parte della rete di Osama. Ora troviamo solo un check- point, controllato dai mujaheddin e una vecchia sbarra di ferro a bloccare l’entrata…..” Non è mai stato chiarito fino in fondo se l’uccisione di Maria Grazia Cutuli sia legata proprio  a quell’inchiesta scomoda. Le montagne in Afghanistan hanno mille occhi e mille anfratti. In quei giorni centinaia di giornalisti carichi di soldi in contanti, indispensabili per la sopravvivenza in un paese in guerra, percorrevano quell’unica strada che da Jalalabad porta a Kabul. Alcuni erano stati rapinati anche delle telecamere. L’avevo percorsa anch’io giungendo nella capitale afghana il giorno prima. Tra le cose peggiori che possono capitare ad un inviato di guerra c’è anche il dover raccontare la morte di una collega. A me  è toccato raccontare la morte di Maria Grazia. La conoscevo attraverso i suoi reportage in giro per il mondo nelle aree più calde del pianeta. Ci eravamo incontrate di sfuggita quando passava da Islamabad, dove mi trovavo io, per rinnovare il suo visto e tornare a Peshawar. Ho imparato a conoscerla meglio attraverso il racconto dei suoi amici e colleghi con i quali aveva condiviso pezzi di vita. Una giornalista coraggiosa che  amava così tanto  il suo mestiere da anteporlo ad ogni altra cosa, sopportando anni di precariato. Non c’è foto in cui non sia ritratta con il suo taccuino e la pena in mano. Sono passati vent’anni dalla sua morte e sembra ieri. Siamo tutti un po’ più vecchi e anche Maria Grazia oggi sarebbe sulla soglia dei 60 anni. Difficile immaginarla diversa. Il suo sguardo curioso e  la sua bellezza si sono cristallizzate in quelle immagini che sono girate di lei in questi anni. E’ morta troppo presto, ma l’Afghanistan non è un posto dove avere sogni. E infatti 20 anni dopo i talebani sono di nuovo al potere e le donne sono quelle che pagano il prezzo più alto.

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