Spazio e tempo sulla spiaggia della vita

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Old”, di M. Night Shyamalan, prod. Usa, 2021

Dopo la chiusura, con “Glass”, della trilogia dei “Supereroi”, M.Night Shyamalan plana sulla realtà, sempre a modo suo, e insegue, come in alcune sue opere precedenti, “The Village” su tutti, le ragioni stesse dello stare al mondo, usando la fantasia come pretesto per inoltrarsi nella selva del reale. La scienza impazzita e prezzolata ci usa, e due famiglie di turisti si ritrovano su una spiaggia isolata e incontaminata, ingannati da un villaggio turistico dietro cui si nasconde una criminale multinazionale farmaceutica impegnata ad allungare, in futuro, la vita ai suoi clienti. Cocktail alterati alla bisogna faranno invecchiare velocemente tutti, causando morte, derive personali e tragedie irreparabili. Insomma, esattamente il contrario della Shangri-La di Frank Capra, località immaginaria che, in “Orizzonte perduto”, regalava ai suoi protagonisti l’eterna giovinezza, con l’illusione perduta, amaramente, solo nel finale. ll regista indoamericano fa il suo mestiere, il cinema, raccontando la vita accorciandola, sintetizzandola, e in questo film, dunque, ancor di più. Entrando, così, genialmente, nei meccanismi stessi dell’esistenza. La spiaggia chiusa e senza vie di fuga diventa metafora della circolarità della vita, in una sottile analisi del tempo che fa di questo film una sorta di paradigma della conoscenza mediata dalla visione. Se, in “Cast Away”, Zemeckis faceva vivere al suo protagonista l’ingovernabile e spaventosa esperienza del tempo che scorre, qui Shyamalan va oltre. Occupa lo spazio spiaggia disegnandolo, anch’egli, con gli elementi primordiali e universali di acqua, terra e fuoco, ma accelera il tempo, trasformando in un attimo corpi e menti (topos di tutto il suo cinema), portandoli, intenzionalmente, verso l’ultima meta, la morte.

Intesa, però, non come fine, ma come momento estremo in cui tutto si fa chiaro, ogni ragione si appalesa, ogni dubbio viene fugato, ogni incertezza trova ragione e pace. Esempio. Una delle due famiglie irretite è in crisi. I genitori stanno per lasciarsi. Alla fine si ritroveranno, non per un banale e moralistico lieto fine, come a molti sembrerà, ma perché entrambi hanno avuto la “fortuna” di invecchiare subito, andando oltre quel quotidiano di cui siamo inevitabilmente intrisi e vivendo, come in una fiaba all’incontrario, non una felice vita insieme ma soltanto un ultimo istante di intesa, quello in cui possono condividere, nuovamente, qualcosa di importante, anche se tragico e finale. Perché per Shyamalan sono gli istanti che contano non la vita, per lui ogni istante è la vita stessa.

Lo stesso autore appare nel film, in due camei molto significativi. All’inizio come autista-Caronte del villaggio maledetto e, nel prefinale, come regista dell’esperimento scientifico, entomologo della visione e demiurgo di una tragica messinscena, ad evidenziare l’inscindibile nesso tra finzione e realta’, attraverso cui egli mette in scena un’opera complessa, implacabile e commovente, come sa essere il cinema quando non si limita soltanto alla vuota esibizione estetica. In questo senso, il sottofinale è esemplare, con il marito, un sorprendente Gael Garcia Bernal, che, in una stupenda soggettiva offuscata dalla cecità imminente, va alla ricerca dello sguardo adesso necessario della moglie, una altrettanto straordinaria Vicky Krieps, con cui solo poche ore prima aveva, per l’ennesima volta, litigato. La magmaticita’ della visione ci immerge in un attimo di smarrimento insieme visivo ed emotivo davvero raro. Il cinema è la morte al lavoro, diceva Cocteau, e qui Shyamalan sottoscrive e cita, omaggiandolo, il genio francese, aggiungendo che la morte non è soltanto naturale approdo umano, ma molto di più quando avvalorata da una vita degna di questo nome. Il finale, con gli scienziati pazzi catturati dalla polizia, è solo un contentino che Shyamalan regala ai suoi generosi produttori americani, che tanto poco credono all’intelligenza di noi spettatori, capaci di apprezzare anche film rari e radicali come questo. E il mio non è, caro lettore, uno spietato spoiler, perché il film, con il suo vero finale, vi garantisco, sta tutto da un’altra parte.


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