Obama e Meghan nell’estate degli addii 

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Mi ha raccontato il caro amico Guido Compagna che suo padre, Francesco Compagna, straordinario politico repubblicano, fondatore della rivista “Nord e Sud” e protagonista degli anni migliori nella storia del nostro Paese, le chiamava “le morti dell’estate”. Poi è toccato anche a lui, come se il destino avesse deciso di vendicarsi per la genialità di una definizione tanto calzante quanto premonitrice. Eppure, come abbiamo già avuto modo di segnalare, l’estate è un crogiolo di meraviglia e di malinconia. Una morte d’estate ha un sapore di diverso, come se al dolore che sempre una perdita reca con sé si unisse lo strazio di una fase dell’anno in cui tutto, per contrasto, è luce, vivacità, bellezza. E così ci ha detto addio anche Antonio Pennacchi, l’irregolare della penna, il nostro Virgilio nelle controverse vicende del fascismo edilizio, quello che bonificò le Paludi pontine e vi edificò città come Latina (inizialmente Littoria) e Sabaudia, in un’esplosione di propaganda, efficientismo e furbizia che ebbero un ruolo essenziale nel consolidamento del consenso e non sono meno importanti in una certa nostalgia contemporanea. E Pennacchi, col suo carattere spigoloso, le sue battute taglienti, la sua ironia amara e disincantata, il suo essere costantemente apolide, in politica e nella vita, la sua genialità corrosiva e il suo sguardo visionario e lungimirante come pochi, ha saputo fornire un’interpretazione originale e un po’ folle del fasciocomunismo di quelle terre, costitutivo del suo tratto autobiografico e capace di accomunare gli operai, i contadini, i braccianti e le tante, troppe categorie che la sinistra imborghesita ha perso progressivamente per strada. Una sinistra che sapeva raccontare come pochi il grande Bruno Ugolini, firma storica dell’Unità, esprto di questioni sindacali, maestro della cronaca e dotato di un’umanità fuori dal comune. Un altro addio che si fa sentire e ci spezza l’anima, nel giorno in cui ricordiamo il primo anniversario della scomparsa di Sergio Zavoli, amico e maestro di tutti noi, colui che ci ha insegnato a dare la stessa importanza al primo a all’ultimo, a Merckx e a Taccone, senza mai umiliare la maglia nera e trasformandola anzi in un personaggio da copertina. Di Zavoli conserviamo la potenza espressiva, la classe, il garbo, la lucidità d’analisi e l’attenzione per il prossimo, anche quando era ormai molto anziano e rivolgeva la sua attenzione soprattutto ai versi, con una poesia intensa e profondamente romagnola, diremmo quasi crepuscolare, come un Marino Moretti proiettato nel Ventunesimo secolo, senza tuttavia perdere di vista quel tratto onirico, tipicamente felliniano, che avvolgeva di nebbia e di meraviglia ogni atmosfera.
Tra queste lacrime si ritagliano un ruolo di primo piano due significativi anniversari: i sessant’anni di Barack Obama e i quaranta di Meghan Markle, la cui uscita dalla famiglia reale, con al seguito il principe Harry, ha fatto più scalpore della stessa Brexit, segnando il declino di un Regno Unito mai così diviso e lasciando i sudditi di Sua Maestà con il fondato dubbio che stia finendo un’epoca.
Obama e la Markle sono accomunati dall’essere americani, dall’essere star mediatiche, dall’essere straricchi e anche dalla comune passione per i democratici, tanto che si parla di Meghan addirittura come possibile candidata alla Casa Bianca. Staremo a vedere. Nel mentre, auguroni ai due e grazie per questa nota di colore in mezzo a tanto tormento.

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