Si esce mai dall’adolescenza? “Sembrava bellezza”, l’ultimo romanzo di Teresa Ciabatti

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Teresa Ciabatti racconta di sé di essere una scrittrice molto disciplinata e sistematica che si alza presto tutte le mattine e comincia a scrivere per ore, dice che dei suoi libri fa molte stesure, fino a oltre quaranta riscritture, rifiutando  quindi ciò che qualcuno le ha attribuito: che la sua sia una scrittura di getto. Tutto ciò appare evidente nell’ultimo romanzo “Sembrava bellezza” in cui ci viene consegnata una storia frammentata in una miriade di tessere, a volte cangianti, da tenere insieme e ricomporre in modo forse definitivo solo alla fine.

Del resto  già nella premessa è presente un’ avvertenza significativa : “Come funziona la mente umana. Funziona in modo differente per ciascuno di noi in base al percepito, e anche alle caratteristiche fisiche. La stessa esperienza ha tante versioni quante le persone che l’hanno vissuta. Ognuno individua  dolore e gioia dove non li individuano gli altri. Addirittura il piacere risiede in luoghi diversi, anfratti emotivi a seconda della persona.”

C’è una voce narrante, quella della protagonista, che è una scrittrice, cui a volte la protagonista si rivolge e che chiama in causa; una protagonista che racconta eventi, ricordi, immaginazioni, ipotesi, che dice di essere stata in analisi e di conoscere Freud, per cui dei fatti ipotizza talvolta ciò che direbbero gli psicanalisti per poi contrapporre la propria interpretazione. Una pluralità di voci, di punti di vista, di possibilità  da tenere presenti mentre si procede nella ricostruzione che la protagonista fa della sua vita dall’adolescenza ai quarantasette anni. Il rapporto verità menzogna viene introdotto dalle prime pagine: la protagonista e la scrittrice a volte mentono. E’ importante il rapporto realtà immaginazione, il ruolo dell’immaginazione nei sogni e nella realtà per riempire mancanze, buchi, vuoti, lacune, oblii. Altresì bisogna tener conto  della memoria , “di ciò che trattiene e di ciò che lascia andare … della sua arbitrarietà: non è vero che per istinto di sopravvivenza dimentichiamo ciò che ci ha fatto male” conclude la protagonista “oggi io dico che la memoria va a caso. Così come l’immaginazione”.

Con questi avvertimenti l’io narrante si appresta a una ricostruzione della propria storia che sente  necessaria nello snodo dei quarantasette anni, menopausa, fine definitiva della giovinezza; ricostruzione che vuole essere anche un’espiazione, una riparazione per la se stessa cattiva, forse colpevole di un atto di vigliaccheria, anafettiva, che non sa prendersi cura degli altri;  che è l’altra parte della se stessa buona, vilipesa, svalutata, vittima che però è riuscita anche ad avere una rivalsa: “La mia intera vita va letta sotto la luce del desiderio di rivalsa”. È diventata scrittrice di successo, famosa, acclamata, ma per quanto? Il bisogno di riparazione non è colmato, tacitato : le ferite della vita sono molte e profonde, specialmente quelle dell’adolescenza “Non dipende forse dall’adolescenza l’adulta che sei?”. La  storia ha il fulcro nell’adolescenza sua, dell’amica Fabiana e di sua sorella Livia, che a causa di un incidente resterà adolescente per tutta la vita. E con la loro adolescenza la protagonista vuole raccontare  anche l’adolescenza delle ragazze e dei ragazzi degli anni ’80, una “Generazione che non voleva essere dimenticata” una generazione rumorosa, ragazzi “confusi, esagitati, impauriti, infelici”, “che si muovevano in gruppo” ma quando erano soli si sentivano svenire, sprofondare. I ragazzi dei Parioli, del Mameli, il plotone che la respingeva, lei provinciale venuta a Roma dalla Maremma, senza quarti di nobiltà, ricca, ma non abbastanza per essere una di loro e soprattutto grassa, con un corpo vissuto come asimmetrico, una mammella più alta, un corpo a metà. Il desiderio di bellezza, di ammirazione – datemi un cigno, quanto vive una  farfalla?-  il consumismo  – Tutte insieme, sulla scala mobile, tra i reparti, arraffate vestiti, correte, rubate – il mito distorto di Emanuela Orlandi – la voglia di prendere una strada , andare dritto, salire su una macchine di sconosciuti … Il desiderio di essere violentata, rapita, il disperato desiderio di essere protagonista di qualcosa.

Lei grassa trova appoggio nel rapporto con le due sorelle di una famiglia ricca e prestigiosa, l’amica vera è Fabiana, anch’essa sovrappeso, mentre Livia, la sorella biondissima, di una bellezza perfetta, ammirata e desiderata da tutti, che le ignora e disprezza come gli altri compagni di scuola diviene più che mai la fonte della loro frustrazione e della loro invidia. Livia a diciassette anni rimane vittima di un misterioso incidente in seguito al quale resterà integra fisicamente, intatta nella sua bellezza, ma  minorata, la sua mente resterà bloccata al tempo dell’incidente. La protagonista ha una colpa per l’incidente? Poteva fare qualcosa per evitarlo, poteva salvarla, cambiando così la vita di Livia e delle persone che la circondano, forse anche la propria? Un’ossessione tacitata che si risveglia, la scrittrice ormai famosa coglie un’occasione per riallacciare il rapporto con Fabiana e di conseguenza con Livia, rapporti che  aveva troncato dopo l’incidente, quando lei, come  tutti gli altri, si era allontanata da una situazione in cui c’era sofferenza e bisogno di accudimento.

Il tema dell’adolescenza passa anche attraverso l’analisi del suo rapporto con la figlia, perché questo è anche un libro sulla maternità, sulla negazione del ruolo di madre tradizionale della protagonista  e comunque sull’ambivalenza del rapporto con la figlia, reso difficile forse anche dalla  anafettività e mancanza di empatia che si attribuisce, l’ombra della madre cattiva.  C’è in questo  rapporto un’ansia , una proiezione dei propri bisogni, una sovrapposizione di se stessa sulla figlia che vede “sghemba” – l’ossessione del suo presunto difetto al seno –  e che avrebbe voluto rimodellare con la chirurgia plastica, altro mito distorto della sua generazione, “rifarsi le tette”. E’ un libro che parla molto di corpi e la protagonista scrittrice riflette sulla sofferenza legata al corpo, sulle adolescenze travagliate dall’anoressia o dalla bulimia e decide di fare un reportage su questi temi per il proprio giornale. Per questo nella seconda parte del libro vengono inseriti alcuni “Appunti per un reportage mai pubblicato”.

Attraverso la ricucitura del rapporto con Fabiana la protagonista riprende il rapporto con Livia per la quale trova quella capacità di accudimento che credeva di non avere e che non aveva saputo esercitare con la figlia. Assecondando il desiderio di Livia la protagonista, personaggia poco amabile nella sua ambiguità, avrà anche l’occasione di rincontrare Massimo, l’ex fidanzato di Livia, il ragazzo più bello del Mameli, l’oggetto del desiderio suo e di tutte le ragazze; Massimo che, sospettato di responsabilità nell’incidente di Livia, ha avuto anche lui la vita devastata dall’episodio di trent’anni prima. Con Massimo ci sarà anche un momento di intimità fisica e sarà il momento della ricercata rivalsa per cui la protagonista vivrà pienamente quell’ “accartocciamento temporale” sul cui significato si interroga, perché “scoparsi Massimo è scoparsi il plotone”: “Com’è scoparsi l’adolescenza. Com’è questo accartocciamento temporale. Scoprire che le fantasie  a forza di ripetersi valgono l’esperienza, e che ciò che sta avvenendo è la ripetizione meno urgente di qualcosa che è già successo … Com’è scopare la propria giovinezza? Cosa si prova, quale illusione a credersi adolescenti”. Si esce mai dall’adolescenza? Si era chiesta la scrittrice. Forse la parola mai è troppo, ma il tempo passato, gli eventi vissuti contano. Incontrando nuovamente le persone della propria adolescenza la protagonista ha dovuto acquisire uno sguardo diverso sulle loro vite, su cui il destino non ha lesinato il dolore e uno sguardo diverso sulla propria più fortunata, che ha conosciuto il successo, il riconoscimento. Ha dovuto trovare lo sguardo della compassione per gli altri e per se stessa e si è compiuta infine un’ “inversione interiore” per cui  l’adolescenza  rimpicciolisce , “ incenerisce il desiderio di rivalsa nei confronti dei ragazzi del canestro – plotone, mandria, occhi chiari” ed è la madre che ingigantisce e può guardare alla figlia qual è , non alla proiezione di se stessa. La protagonista non avrà l’opportunità di compiere il gesto riparatore che doveva emendarla dalla colpa di trent’anni prima. Ma è per riparare il passato che è diventata scrittrice: inventare, sistemare, verità e menzogna, biografia e invenzione “Eccomi adulta coraggiosa, eccomi ad allungare il passo, scattare, mettermi sotto – le finestre, i balconi, i burroni, i dirupi della vostra giovinezza – spalancare le braccia, prendere al volo le ragazze”. Per la protagonista/ scrittrice il vero il viaggio, il nuovo sguardo, il riscatto avviene attraverso la scrittura.

Il libro è inserito nella dozzina dei finalisti al premio Strega che saranno selezionati per la cinquina il 10 giugno a Benevento.

 

Teresa Ciabatti, “Sembrava bellezza”, Mondadori 2021


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