Mediaset-Vivendi: fino all’ultimo respiro

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La contesa tra il gruppo francese di Vincent Bolloré (sulla cui anatomia si legga Le Monde diplomatique, inserto de il manifesto di marzo) e Mediaset (le cui opere scelte sono assai note) può essere la trama di una serie televisiva alla moda. Gli ingredienti ci sono tutti: bramosia di potere, concorrenza spietata per il controllo della Regina dei media, geopolitiche dei e tra i gruppi editoriali. Naturalmente, secondo gli attuali canoni estetici, non ci sono buoni e cattivi, bensì solo diverse sfumature di questi ultimi.

Che è successo nell’ultima puntata di una storia – quella più recente- iniziata almeno nel 2016? Esattamente cinque anni fa, infatti, Vivendi si impegnò a rilevare la pay tv del gruppo berlusconiano, Mediaset Premium. Il fidanzamento si ruppe rapidamente, perché l’amministratore della società francese sostenne che alla prova dei fatti la struttura, presentata come un ristorante di lusso, era al più era un McDonald’s.

Lite e successivo annuncio da parte della controllante Fininvest di azioni legali a tutela del suo gioiello. I transalpini, adusi a ben altro, risposero con un rastrellamento incredibile delle quote azionarie del concorrente, arrivando a prendersi quasi il 30%, limite oltre il quale scatta l’obbligo di Opa (offerta pubblica di acquisto).

Un anno dopo, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni impose a Mediaset, sulla base del Testo unico delle radiodiffusioni – emanato nel 2005 dall’allora ministro Gasparri- di scegliere tra Tim (di cui Vivendi è il primo partner con circa il 24% del capitale) e la televisione del Cavaliere di Arcore. Il 20% della televisione viene, dunque, congelato.

Colpo di scena. Il 3 settembre del 2020 la Corte di giustizia europea  dichiarò illegittimo il divieto e obsoleta sul punto inerenti agli incroci multimediali la norma italiana. Senza batter ciglio la maggioranza giallorossa dell’epoca si produsse nell’incredibile emendamento salva-Mediaset in uno dei provvedimenti sul Covid, dando sei mesi di tempo all’Agcom per intervenire sulla materia. Il Tribunale amministrativo del Lazio annullò, poi, la delibera della stessa Agcom nello scorso dicembre.

E arriviamo alla puntata consumatasi in queste ore. Il tribunale di Milano, cui il Biscione aveva fatto ricorso per essere risarcito dopo la rottura, ha imposto sì a Vivendi di risarcire 1,7 milioni di euro, ma confermando l’illiceità dell’articolo che impediva la scalata nel cuore di Mediaset, proprio in conseguenza della decisione della Corte di Lussemburgo.

Insomma, un brutto colpo per la costellazione di Fininvest, già in difficoltà in una stagione brutta per tutti e  ora di fronte alle ostilità d’oltralpe.

In attesa delle prossime puntate, c’è da osservare, però, che non si tratta di un’epica disfida proiettata verso il futuro mediale, bensì di un corpo a corpo difensivo e arretrato.

Dall’alto del loro cielo guardano e sorridono gli Over The Top, gli oligarchi della rete. I nuovi padroni del vapore.


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