Erdogan, Draghi e la dignità perduta per cui non bastano le parole

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L’ondata di indignazione per la sedia negata da Recep Tayyip Erdogan alla presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen ha costretto, per una volta, il premier Mario Draghi a mettere da parte la ‘ragion politica’.
Il nostro presidente del Consiglio non ha esitato a definire il capo di stato turco un dittatore. 
Certo, ha aggiunto anche “di cui si ha bisogno”. Ma intanto un sussulto di dignità si è finalmente palesato.
Entrando nel merito della questione, al di là del sessismo e della sgradevolezza di Erdogan, la deplorevole vicenda di Von der Leyen non è altro che l‘espressione figurata di come l’Unione europea venga da quest’ultimo percepita.
Ciò che il dispotico presidente della Turchia ci ha voluto dire con la pantomima andata in scena ad Ankara si può sintetizzare con una battuta cara al marchese del Grillo… Io so’ io… e voi non siete… insomma, non contate nulla.
Ma l’atteggiamento di Erdogan, a cominciare dal machismo protocollare che riserva la poltrona accanto al capo di Stato al presidente del Consiglio europeo Charles Michel e il divanetto lontano dagli uomini a Ursula Von der Leyen, non sorprende nessuno.
A prescindere dal sesso dei suoi interlocutori, il ras dell’ex impero ottomano non ha mai fatto mistero della poca considerazione dei vertici europei.
Ciò che appare incomprensibile, e inaccettabile, è la mancanza di dignità e autorità di Michel.
A parte il mancato gesto di eleganza, doveroso, di cedere il posto a una donna, ma soprattutto colei di cui è subalterno, da un serio esponente delle istituzioni era auspicabile un atto politico.
Non si può accettare che si metta in un angolo il leader massimo, anzi la leader, dell’Unione europea.
In Turchia non è stata solo umiliata l’ospite femminile, ma l’istituzione che guida.
Umiliazione che arriva da colui che nel suo Paese, e nei confronti dei curdi, sì è reso responsabile di repressioni e di arresti arbitrari, per non parlare della libertà di stampa negata e dei diritti umani calpestati e delle torture e delle sparizioni forzate nella Turchia sotto la sua guida.
A fronte di ciò, tornando a Draghi, dopo aver definito in modo franco la realtà delle cose (un’arte perduta della politica italiana e, in generale, europea) ci auguriamo che il nostro premier, dopo aver indisposto il presidente Erdogan e scatenato la reazione della diplomazia turca, susciti l’inquietudine anche dell’ambasciatore egiziano, reclamando con forza verità e giustizia per Giulio Regeni e per tutti i prigionieri politici, ancora chiusi nelle carceri di al Sisi, e avvalli la richiesta di cittadinanza per Patrick Zaki.
È giunto il momento che ai proclami umanitari segua la presa di distanza concreta da dittatori e governi autoritari.
Ma, sapendo quanto pesino gli accordi per la gestione e il blocco dei flussi migratori con la Turchia e i contratti per il petrolio con l’Arabia saudita, senza dimenticare il gas russo e i rapporti commerciali con la Cina, non è il caso di farsi troppe illusioni.


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