Corpi e carnefici. ‘4 mesi, 2 settimane, 3 giorni’ di Cristian Mungiu

0 0

1987 Romania. Due anni prima della caduta della dittatura di Ceausescu.

Otilia (Anamaria Marinca) e Gabita (Laura Vasiliu), studentesse.

Gabita rimane incinta, vuole abortire.

Cristian Mungiu, regista e sceneggiatore di 4 MESI, 2 SETTIMANE, 3 GIORNI, vincitore nel 2007 della Palma D’Oro al Festival di Cannes – parte da un fatto e ne ricostruisce la sua attualità: l’aborto clandestino nella Repubblica socialista romena.

Un fatto, una giornata nella vita di Otilia e Gabita.

Quaranta  minuti nella parte centrale del film, quasi la metà dell’intera pellicola. Quaranta minuti dentro una camera d’albergo, ricostruiti con una geometria precisa dei fotogrammi, con un ritmo che viene dal gioco della recitazione, senza musica, senza pathos. I dialoghi naturali, senza interpretazione. La descrizione in dettaglio di quella che poteva essere in ogni istante la motivazione plausibile per i personaggi.

Otilia, Gabita e Bebe (Vlad Ivanov) l’uomo che pratica aborti clandestini e stupri. Quaranta minuti in cui ogni parola, ogni gesto si susseguono senza pause, senza respiro.

L’aborto clandestino, esperienza limite che mette tutto in discussione, punto di rottura rispetto al sistema e alla legge. L’aborto clandestino, il fatto intorno a cui si avvolge, come intorno ad un nodo stretto, l’annullamento della soggettività, la nudità spersonalizzata di Gabita ridotta ad un corpo preparato per il supplizio, ma prima lo stupro di Otilia come prezzo da pagare per il reato. Il massimo della pena per aver violato la legge dello Stato Padre. E’ il potere del regime che sta recitando.

Bebe :”…cioè, che cosa pensavate? Che io avrei rischiato dieci anni di prigione per tremila LEI?…ecco come faccio, io vado in bagno e quando esco se è sì, mi dite chi è la prima…se è no, io me ne vado, perchè siete voi ad avere chiesto aiuto”.

Intorno a quei quaranta minuti si avvolge la Romania  del decreto 770 con cui Ceausescu vietò l’aborto e la contraccezione proclamando: ”Il feto è proprietà dello stato!” La procreazione doveva contrastare la denatalità. Il lavoro e la famiglia erano due pilastri su cui si fondava la Repubblica Socialista di Romania.

Quella stanza d’albergo è come una zona di frontiera dove Gabita espellerà il feto che Otilia porterà fuori dalla clandestinità per gettarlo. L’assenza di diritto e di tutela, l’imposizione della clandestinità hanno reso quel feto un oggetto di reato

Perché rivedere questo film? Perché ci porta a riflettere su ciò che in questi mesi sta accadendo intorno a noi, nel nostro presente.

Dopo oltre quarant’anni la L. 194 nuovamente viene attaccata  e brandita come arma  dall’ideologia di destra per mettere in discussione  l’intero sistema dei diritti civili.

Il film ci ricorda il supplizio, il ricatto, l’abuso subito dalle donne che abortivano in clandestinità; il corpo della donna ancora una volta purtroppo campo di battaglia, strumento che consolida il potere del regime patriarcale.


Iscriviti alla Newsletter di Articolo21