“Imbavagliati”. La testimonianza di Ludovic-Mohamed Zahedm, il primo imam franco-algerino gay e contro l’oscurantismo

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Voci senza filtri e censure che raccontano realtà scomode e poco conosciute dal grande pubblico, voci che difendono i diritti LGBT oltraggiati nel mondo: torna domani (mercoledì 16 dicembre) “Imbavagliati”, il primo Festival Internazionale di Giornalismo Civile, ideato e diretto da Désirée Klain, che dal 2015 dà voce a quei giornalisti che nei loro paesi hanno sperimentato il bavaglio della censura e la persecuzione di regimi dittatoriali e, nonostante il giro di vite contro la stampa, hanno corso seri pericoli per raccontare, denunciare. Il Festival, promosso dall’Assessorato alla Cultura e al Turismo del Comune di Napoli e dalla Fondazione Polis della Regione Campania per le vittime innocenti della criminalità e i beni confiscati, è in programma dal 16 al 20 dicembre e visibile sul sito www.imbavagliati.it. 

“Diversamente Liberi” è il tema della sesta edizione della manifestazione contro i bavagli. Un modo per accendere una luce, in stretta collaborazione Amnesty International Italia, con testimonianze dirette, in quei paesi (sessantanove nel mondo), dove l’omosessualità è ancora un reato, in molti casi punibile anche con la morte. Un tema fortemente sentito anche dalla Chiesa, che ha riconosciuto, attraverso la parola di Papa Francesco, le unioni civili omosessuali.  E sarà proprio un uomo di “fede” ad aprire con la sua testimonianza “esclusiva” il festival contro le censure.

di Marco Cesario

PARIGI.  ‘Imam senza frontiere’ per gli uni, ‘apostata omosessuale’ per gli altri. Il percorso dell’imam franco-algerino Ludovic-Mohamed Zahed è irto di pericoli. Dopo un travagliato periplo spirituale – dall’Algeria alla Francia passando per il Tibet – Ludovic-Mohamed Zahed sceglie di seguire la sua vocazione senza però rinnegare la propria omosessualità. Nel 2010 crea l’associazione Omossessuali Musulmani di Francia (HM2F) e due anni più tardi fonda a Parigi una moschea inclusiva, aperta cioè a qualsiasi razza e sesso. In Svezia celebra il matrimonio tra due iraniane (di cui una affetta da una malattia genetica), unione che gli vale la fatwa dei salafiti che chiedono che gli venga ritirata la nazionalità algerina. Oggi Ludovic-Mohamed Zahed, che conosce il Corano a memoria, ci racconta un altro Islam. Sin da piccolo è affascinato dalla spiritualità islamica. Quando inizia però il suo percorso spirituale negli anni ’90 l’Algeria è divisa tra salafiti e Fratelli Musulmani, ovvero da un lato c’è la visione wahabita, saudita dell’Islam e dall’altro la teologia politica di marca egiziana. Ludovic si fa crescere la barba, frequenta moschee, studia approfonditamente nelle scuole coraniche, impara il Corano a memoria, digiuna, prega con una sola idea in testa: diventare imam. Poi, a 17 anni, scopre di essere omosessuale e per lui inizialmente è come un salto nel buio. Come conciliare infatti l’omosessualità ed il Corano? “Ci ho messo più di dieci anni – racconta – e prima di ritornare all’Islam ho deciso di fare una pausa. Ho smesso di fare Ramadan, mi sono staccato dalla religione. All’epoca non riuscivo a vedere la differenza tra Islam politico e spiritualità islamica. Per capirne di più ho studiato ed ho conseguito un dottorato in psicologia. Così ho scoperto la potenza dei fenomeni psicologici e sociologici e sono giunto alla conclusione che non esiste un “fenomeno sociologico” di nome Islam ma la comunità dei musulmani”. Ludovic scopre che esiste anche un Islam laico, non clericale, non istituzionale, un Islam cioè che sta dalla parte del popolo e non delle élites oscurantiste e dogmatiche.  “Nel Corano l’omosessualità non è mai citata – ci tiene a spiegare Ludovic Mohammed Zahed – purtroppo altri versetti che non citano l’omosessualità ma lo stupro rituale, inventato all’epoca di Sodoma e Gomorra, nella civiltà mesopotamica, come conferma anche Erodoto, sono stati utilizzati fuori dal contesto per arrivare ad aberrazioni come quelle che hanno luogo in Arabia Saudita o in Iran, dove gli omosessuali sono giustiziati o decapitati”.

La presa di coscienza di Ludovic è allora chiara e forte, c’è qualcosa che manca nell’Islam odierno. Ed è appunto la componente spirituale. Per questo motivo, inizialmente si avvicina al buddhismo. Ma poi scopre paradossalmente che anche in quella religione esiste una visione poco gradevole: monaci, in Birmania, che massacrano musulmani, un ruolo della donna subalterno, l’omosessualità avversata. Alla fine anche il buddhismo gli sembra tutto sommato simile a quell’Islam che gli era stato insegnato: misogino e patriarcale. Col tempo allora Ludovic-Mohamed Zahed si rende conto che esistono due visioni antitetiche nell’Islam: una patriarcale, ideologica e politica e l’altra spirituale ed emancipatrice ed è quest’ultima che lui decide di percorrere.  Per lui il connubio che spesso sorge tra religione e violenza è insito in tutte le grandi religioni. In realtà il problema è un altro, ci ricorda, ed è la decolonializzazione e le guerre occidentali contro il Medio Oriente arabo-musulmano. Lì dove infatti c’è guerra e dunque povertà si ritrovano omofobia, superstizione. Ludovic si appoggia sulla sociologia e sulla psicologia sociale per dedurre che il problema, nel mondo arabo-musulmano, risiede proprio nei conflitti: la gente si sente in pericolo e si aggrappa a valori patriarcali, difende la tribù, s’identifica con un capo e trasforma gli uomini in guerrieri. Così la rappresentazione dell’Islam che ne viene fuori è una rappresentazione militare, come nel caso del jihadismo. Per Ludovic Mohamed Zahed la maggior parte delle persone che parla o agisce a nome dell’Islam lo fa però da un punto di vista prettamente ideologico e politico. Lo fa cioè veicolando fascismo e totalitarismo, nella sfera pubblica come in quella privata. Oggi, dopo 10 anni dall’inizio del suo percorso, l’imam omosessuale membro dei Musulmani progressisti di Francia (MPF), membro fondatore della rete internazionale inclusiva (IniMuslim) e della rete interreligiosa LGBT+ (Gin-Ssogie) e coordinatore della ricerca clinica presso l’Ospedale Nord di Marsiglia, riceve ancora pressioni e minacce sui social ma non è spaventato. Il problema è che chi, come terroristi e jihadisti, uccide, fa sempre più rumore e quindi sembra anche più importante. “Noi siamo più silenziosi – chiosa Ludovic – ma in realtà da quando abbiamo fondato la moschea inclusiva riceviamo molti più incoraggiamenti che minacce. Non bisogna sottomettersi alla paura né rinunciare alla battaglia per il rispetto dei diritti umani. Si tratta di valori inalienabili”. A sentirlo parlare così sembra quasi un eroe ma è soltanto un uomo illuminato, un uomo giusto e saggio che ha attraversato l’oscurità per giungere a portare un po’ di luce nell’oscurità del nostro tempo.

“Imbavagliati- Festival Internazionale di Giornalismo Civile”, prodotto dall’Associazione Culturale “Periferie del Mondo – Periferia Immaginaria”, è promosso dall’Assessorato alla Cultura e al Turismo del Comune di Napoli e dalla Fondazione Polis della Regione Campania per le vittime innocenti della criminalità e i beni confiscati, realizzato in collaborazione con la Federazione Nazionale della Stampa, la Fondazione Banco di Napoli, l’UsigRai, il Sindacato Unitario Giornalisti della Campania, Articolo 21, e con il patrocinio di Amnesty International Italia e Unicef Italia.


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