I cento giorni della protesta bielorussa

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Oggi 16 novembre 2020 sono esattamente 100 giorni di proteste bielorusse. Purtroppo hanno smesso di fare notizia in Italia, ma non significa affatto che sono finite, anzi: nonostante la continua repressione e violenze delle forze dell’ordine, nonostante la legge e la giustizia non funzionino più, nonostante una forte paura che questa situazione genera tra la popolazione, la gente continua a protestare ogni giorno. Donne, uomini, studenti, pensionati, disabili. “Mancano solo i bambini e gli animali domestici”, scherzavano i manifestanti tempo fa.

Uccisione di Roman Bondarenko avvenuta la notte tra 11 e 12 novembre poteva dare una svolta alle proteste pacifiche. Un giovane pittore di 31 anni viene arrestato e picchiato dagli agenti in borghese e successivamente muore all’ospedale senza riprendere la coscienza. Due giorni dopo ai suoi genitori non è stato ancora restituito il corpo: col passare del tempo i segni di percosse si confonderanno sempre di più con i segni di decomposizione, scrive la testata indipendente Radio Svaboda. Visto che il regime ha provveduto a smantellare i memoriali spontanei di fiori e candele in tutto il paese e anche alle ambasciate bielorusse all’estero, compresa l’Italia, la notte tra sabato e domenica i volontari del movimento popolare rimangono a fare la guardia in piazza Cambiamenti, piena di fiori, bandiere, cartelli e candele per commemorare questa morte tragica e assurda per la sua crudeltà. Le tende che piazzano nel cortile condominiale fanno venire in mente le tende del 2010 a Minsk o ancora il Maidan in Ucraina. Ma la somiglianza con Maidan finisce là. La protesta bielorussa è e deve rimanere pacifica, dicono i manifestanti. Tuttavia l’atmosfera è tesa, molto tesa. Quando domenica pomeriggio le forze dell’ordine arrivano sul posto, qualcuno urla: siamo pronti a morire. È un urlo di dolore e disperazione. Lo stato dispone delle risorse infinite rispetto a quelle dei manifestanti: armi, munizioni, agenti atletici senza scrupoli e senza pietà. Quando il corpo antisommossa entrano compatti nel cortile, dall’alto sembra un invasione di formiche. È straziante vedere questa scena. Che cosa poteva fare una manciata di manifestanti disarmati contro quel mare di uniforme nera?

Caricano tutti. All’entrata degli autobus per il trasporto dei detenuti mettono la bandiera bianco-rossa e costringono la gente a pulirvisi i piedi. Chi cerca di non pestarla viene picchiato. Un centinaio di manifestanti riescono a rifugiarsi nei condomini adiacenti. La polizia pattuglia la piazza dei Cambiamenti tutta la notte e controlla i documenti di ogni passante. Se non sei residente, sono problemi. Un ragazzo che ha trascorso la notte in un appartamento altrui scrive stamane sul suo profilo Instagram: “Abbiamo appena lasciato la piazza dei Cambiamenti. Adesso sappiamo come si sentivano gli ebrei quando si nascondevano negli scantinati”.

In tutto ieri 15 novembre hanno arrestato minimo 1127 persone, perlopiù a Minsk, ma anche nelle altre città bielorusse. Lo riporta l’ong per i diritti umani Viasna. I media indipendenti bielorussi riferiscono che ieri sera si sentivano le urla di dolore fuori dalla centrale della polizia Frunzenskij a Minsk – le torture sono all’ordine del giorno per sopprimere il dissenso. Alcune persone sono finite all’ospedale, molte altre sono rimaste senza assistenza medica. Ancora una volta le forze dell’ordine hanno fatto la gente stare con le mani in alto, faccia contro il muro, per ore e ore, al freddo. Scene che abbiamo visto nei film storici sulla seconda guerra mondiale. In Bielorussia, un paese alle porte dell’Europa, è la realtà degli ultimi 99 giorni.

Ma tutto ciò non fa notizia in Italia, quasi mai. Forse anche perché i giornalisti stranieri sono stati espulsi tutti ancora a fine agosto. Il gesto delle autorità è comprensibile: è più difficile commettere i reati alla luce del sole. Mentre i giornalisti dei canali ufficiali manipolano i fatti a loro piacimento per mettere in cattiva luce le proteste pacifiche e seminare l’odio, i giornalisti bielorussi delle testate indipendenti vengono arrestati, processati, puniti con le multe e con la reclusione. Solo nella giornata di ieri ne sono stati arrestati 23, secondo l’Associazione Bielorussa dei Giornalisti (BAJ). Ultimamente la repressione contro i giornalisti si è intensificata: i capi di imputazione diventano sempre più pesanti, si rischiano alcuni anni di carcere invece delle solite 2-3 settimane.

Perciò rinnovo il mio appello ai giornalisti italiani: per favore, aiutateci a parlare della situazione surreale nella sua crudeltà in un paese nel centro geografico dell’Europa. I cittadini bielorussi sono completamente, disumanamente indifesi davanti al regime che agisce in totale impunità. La dittatura si sente onnipotente perché può fare qualsiasi cosa a chiunque e finora non ne ha mai pagato le conseguenze. Ad oggi abbiamo 4000 denunce per le torture e 0 inchieste aperte.

La nostra unica arma è l’informazione. Allora non cadranno nel dimenticatoio questi crimini contro i cittadini disarmati e indifesi la cui unica colpa è quella di aver preteso le elezioni trasparenti e di aver espresso il loro dissenso con i mezzi pacifici.

(nella foto una delle molte proteste degli ultimi mesi)

Nota congiunta del Sindacato dei Giornalisti e Articolo 21 Trentino Alto Adige 

Il Sindacato dei Giornalisti del Trentino Alto Adige ed il presidio di Artcolo21 della Regione esprimono solidarietà e sdegno per l’arresto di 23 giornalisti appartenenti all’Associazione Bielorussa dei Giornalisti BAJ, bloccati ieri in piazza del cambiamento nella capitale Minsk insieme a 1127, tutte arrestate.

SJG ed Articolo 21 del Trentino Alto Adige sono inoltre vicini all’Associazione dei Bielorussi in Italia con sede a Trento, la cui rappresentante Katerina Ziuziuk ha lanciato l’allegato grido d’allarme, affinchè non venga dimenticata la tragedia della Bielorussia, dove è in corso una campagna di stato di abolizione della libertà di stampa con arresti indiscriminati e di tutte le altre libertà, tra l’indifferenza dell’Europa, a cento giorni dall’inizio delle proteste democratiche


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