Saviano sentito in Tribunale, parte offesa per le minacce nel processo Spartacus. “La mia vita è cambiata per sempre dopo quel proclama dei boss”

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Più di due ore apparse un viaggio dentro l’inferno che sono capaci di scatenare i casalesi contro i loro nemici, quando non li ammazzano direttamente.
Due ore, tanto è durato l’esame testimoniale di Roberto Saviano che questa mattina è stato sentito dal Tribunale di Roma quale parte offesa nel processo a carico di Francesco Bidognetti, detto “cicciotto e’ mezzanotte”, del suo avvocato Michele Santonastaso e del collega Carmine D’Aniello, già condannati in primo grado, sentenza impugnata in Appello dove è stata annullata con successiva eccezione di competenza territoriale che ha prodotto la trasmissione del fascicolo a Roma. Gli imputati rispondono di un reato tutto sommato “lieve”, quello di minacce nei confronti dei giornalisti Roberto Saviano e Rosaria Capacchione, ma è il contesto, e la modalità con cui si sono avute, che cambia tutto. La storia prende il via a marzo del 2008, nel corso delle arringhe della difesa al processo Spartacus, davanti alla Corte d’Assise d’Appello di Napoli. Quando toccò all’avvocato Michele Santonastaso questi lesse un documento che conteneva un’istanza di legittimo sospetto che, in realtà, era un proclama del clan dei casalesi contro i due giornalisti, “rei” di aver seguito la cronaca di quella che viene considerata una delle organizzazioni criminali più feroci al mondo. Era un attacco evidente anche ai magistrati Federico Cafiero de Raho, dominus dell’accusa nel processo Spartacus, e Raffaele Cantone. Ieri Saviano ha confessato che all’inizio non si era nemmeno accorto della gravità di quel documento, del suo contenuto. Ma poi ne ha pagato le conseguenze, è stato messo sotto scorta, la sua vita è cambiata. Dell’incubo cominciato allora lo scrittore ha parlato a lungo e ascoltarlo è stato come tornare nell’agro aversano, dove la vita di molti non conta nulla, dove i casalesi comandano, decidono, condannano, guadagnano, minacciano e producono una montagna di soldi. “La ricusazione letta dall’avvocato in quell’aula era importante e grave, era una minaccia perché portava la firma di due boss del calibro di Francesco Bidognetti e Antonio Iovine”, ha detto lo scrittore che poi ha ripercorso il lungo periodo della sua vita sotto scorta, cominciata quando aveva ventisei anni e che dura da 15 anni. “Avere la scorta non è un merito e non è un privilegio, è un dramma. In tutti questi anni ho vissuto spostandomi di continuo per allontanarmi dal pericolo, ho dovuto lasciare la mia città e anche i miei familiari, fatta eccezione per mio padre, sono dovuti andare via da Caserta e questo è il peso più grande per me. L’impatto di una situazione del genere è immenso e nessuna sentenza potrà ripagare tale mancanza di libertà”. Roberto Saviano ha anche ricordato le polemiche dell’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini sulle scorte e ha descritto nel dettaglio cosa, invece, significhi rischiare in un territorio difficile davanti ad un clan pericolo e sanguinario.
Il processo davanti al Tribunale di Roma ha preso il via a giugno del 2019 mentre a giugno scorso è stata sentita Rosaria Capacchione che a sua volta ha raccontato con costanza e rigore le “imprese” violente del clan casertano.
In aula questa mattina c’era anche il Presidente della Federazione Nazionale della Stampa Italiana, Giuseppe Giulietti. La Fnsi è parte civile, rappresentata dall’avvocato Giulio Vasaturo. La prossima udienza è fissata per il 15 dicembre quando ci sarà la requisitoria del pubblico ministero.
All’uscita dal Tribunale il Presidente Giulietti ha detto che era un dovere essere in Tribunale “accanto a due giornalisti che hanno solo fatto il loro mestiere, ossia raccontare la pervasività e la pericolosità della camorra in una terra martoriata, la Campania. Il sindacato sarà sempre accanto ai giornalisti minacciati, ovunque essi siano e da qualunque posto facciano il loro racconto, anche nella periferia più profonda. Ogni volta ribadiamo che chi colpisce un giornalista ci colpisce tutti e fa male alla democrazia”.


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