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Il pugno duro di Trump contro l’immigrazione e il voto dei latinos

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La durezza delle politiche migratorie di Trump è stata al centro della sua campagna elettorale fin dal 2015 e lo è tuttora. I latinos, infatti, sono tra i primi bersagli della sua amministrazione.

E’ rimasta indelebile l’immagine evocata da un articolo del New York Times, secondo cui il Presidente USA avrebbe detto di voler fortificare il muro di confine con una trincea piena d’acqua, rifornita di serpenti ed alligatori. Trump avrebbe voluto un muro elettrificato, con punte in cima capaci di perforare, pattugliato dalla Border Patrol americana pronta a sparare ai migranti alle gambe, per rallentarne la corsa. Pura follia.

La barriera che attraversa per 1000 km la frontiera tra Tijuana e San Diego viene chiamata dai messicani El Bordo, il muro della vergogna, e vede gli attraversamenti clandestini di chi fugge da violenza, sopraffazione e povertà, specialmente dai paesi del cosiddetto Northern Triangle: El Salvador, Guatemala ed Honduras. E’ un confine troppo ampio per potere contenere i flussi migratori, e ciò imporrebbe piani alternativi a quelli attualmente adottati. Di certo migrazioni di portata epocale non possono essere contenute da una legge feroce.

Si è assistito negli anni al fallimento della politica di “tolleranza zero” nei confronti degli immigrati e all’erosione dei diritti, tanto che in attesa di un processo i migranti che superano illegalmente il confine sud degli Stati Uniti sono incriminati e arrestati. Per di più, le famiglie sono separate e i minori dirottati in centri “d’accoglienza”. Si legge in “Questa è l’America” di Francesco Costa che in un primo momento, per evitare problemi, la polizia diceva ai genitori che avrebbero portato i loro figli a fare un bagno o in un’altra stanza per interrogarli, salvo poi non vederli più. Si trattava di bambini di tre, cinque, sette anni. Il libro continua riportando che l’amministrazione Trump ha dichiarato apertamente che un letto, delle coperte, il sapone, un dentifricio non rientravano tra i beni essenziali che il governo era tenuto a fornire ai bambini detenuti.

La politica scellerata della “tolleranza zero”, partita nel 2017, ha visto a distanza di poco lo sdegno di alcuni repubblicani e la pronuncia di un giudice federale che ordinava che tutte le famiglie separate fossero riunite. E’ di questi giorni poi la denuncia degli avvocati di un’associazione per i diritti umani, l’American Civil Liberties Union, che conta 545 bambini a cui non è stato possibile il ricongiungimento con i genitori, perché non si sa dove siano.

Malgrado l’impegno successivo del governo e degli attivisti, infatti, i genitori di questi minori non sono stati rintracciati, in parte per colpa della burocrazia, in parte perché la “tolleranza zero” è stata un boomerang. Le pratiche di identificazione non erano corredate dei documenti necessari ed almeno in una prima fase non c’era stata la collaborazione delle agenzie federali. Il sistema informatico usato dalla polizia di frontiera peraltro non ha tenuto conto dei bambini gravitati nei centri d’accoglienza.

Come se ciò non bastasse, va ricordata l’esistenza di un programma pilota, addirittura prima dell’introduzione del sistema di tolleranza zero, che prevedeva la sottrazione dei figli anche a quelle famiglie che erano entrate negli Usa legalmente. Solo a seguito di un’ingiunzione legale, Trump fu costretto a divulgare i dati sul numero esatto di bambini coinvolti e il NYT scrisse che il numero ammontava a più di 5.500.

 

STRETTA SULLE GREEN CARD

Il presidente Trump ha siglato un ordine esecutivo che da giugno a dicembre 2020 opera una stretta sulle green card e i visti concessi ai lavoratori stranieri, con l’intento di creare lavoro per gli americani duramente colpiti dal coronavirus.

Ad essere bloccati saranno i visti H1-B e H-2B, rispettivamente lavoratori nel campo dell’hi-tech e stagionali non agricoli, stessa cosa peri visti J-1 e L-1, destinati a scambi culturali e manager. A criticare queste misure sono stati anche colossi come Amazon, Google e Twitter.

 

IL VOTO DEI LATINOS

Wall Street e l’Occidente tifano per Joe Biden, ma la corsa alla Casa Bianca è ancora aperta. L’entusiasmo strategico dimostrato da Trump e dal suo staff forse troverà il muro della comunità ispanica. Si contano non a caso 60,6 milioni di latinos che vivono negli Stati Uniti, la metà con diritto di voto, e tra gli stati in bilico del Sud pesa la Florida, simbolo della latinità, con uno spread a favore di Biden di +3,3 (-0,5).


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