Ruth, Rossana e la grandezza dei diritti 

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Due grandi donne ci dicono addio in soli due giorni. Ieri Ruth Bader Ginsburg, straordinaria giurista americana, nominata da Clinton alla Corte Suprema, una vita trascorsa a lottare per la parità di genere e contro tutte le discriminazioni. Oggi Rossana Rossanda, “la ragazza del secolo scorso”, ancora moderna, attualissima, le cui riflessioni suscitavano in tutti noi non solo profonda ammirazione ma anche il senso di una perdita di valori che le sue analisi riuscivano in parte a colmare.
Ruth Bader Ginsburg è stata il simbolo dell’America liberal, una sorta di Rodotà a stelle e strisce, convinta che i diritti si tenessero per mano e dovessero camminare insieme, in quanto una società può essere democratica e avere un futuro solo se tutte le sue componenti si sentono coinvolte in un disegno più ampio e complessivo di costante riforma e rinnovamento.
Non si è mai tirata indietro, non ha mai smesso di battersi per il progresso, non ha mai accettato la subalternità delle donne, tanto meno come condizione naturale, cosa che non era, non è e non sarà mai e che, semmai, vive solo nei nostri pregiudizi e stereotipi. Una combattente senza requie, convinta che la legge non fosse un monolite ma un corpo in evoluzione, destinato ad adattarsi ai cambiamenti sociali e bisognoso di un continuo aggiornamento, pena il non rispecchiare più la complessità di un universo sempre più variegato e bisognoso di essere interpretato, capito e reso più giusto.
Ruth Bader Ginsburg ha espresso, come ultima volontà, il desiderio che il suo posto non venga rimpiazzato prima del voto del 3 novembre, affinché la Corte mantenga l’indipendenza necessaria e non si presti alle strumentalizzazioni politiche che costituiscono la negazione di ogni diritto. Sapeva, infatti, che una delle mire di Trump riguarda proprio la Corte e che il magnate, ahinoi diventato presidente, vorrebbe piegarla ai propri desiderata e renderlo un organismo talmente conservatore da bloccare per lungo tempo il progresso di una Nazione che si è sempre basata sul dinamismo e sulla condivisione di un destino comune fra le sue diversità ma che negli ultimi anni è stata messa in ginocchio da una guida volta a dividere tutto ciò che i suoi predecessori, democratici o repubblicani che fossero, avevano tentato di unire. Basti pensare che uno dei migliori amici della democratica Ginsburg era il conservatore Scalia: due giuristi capaci di confrontarsi, anche aspramente, ma senza mai mettere a repentaglio l’unità del Paese e, soprattutto, riconoscendo l’uno il valore dell’altra nonché un nucleo di principî e ideali comuni che non attengono alla destra o alla sinistra ma all’essenza della democrazia.
Rossana Rossanda, dal canto suo, era una donna di frontiera. Nata a Pola, nel 1924, allora Italia, oggi Croazia, visse sulla sua pelle le tragedie, le grandezze, i diluvi e le rinascite del Novecento. Una donna protagonista, sempre: prima della guerra, durante la Resistenza, nel dopoguerra e fino ai giorni nostri. È stata una comunista mai pentita, assillata da una costante ricerca di senso, dal bisogno di trovare nell’altro le ragioni della vita e della collettività, mai doma, mai pienamente soddisfatta, capace di criticare aspramente il proprio mondo e persino di entrare in contrasto con esso, fino a prendere le posizioni dei ribelli, degli eretici praghesi in contrasto con l’orrore dei carri armati sovietici, della sinistra extraparlamentare, costantemente dalla parte delle ragioni degli ultimi, degli esclusi, di coloro che tutti volevano tagliare fuori ma lei no perché credeva che una democrazia o si basa sull’inclusione o non è.
Rossana Rossanda non poteva trovarsi bene in questo secolo, segnato dalla fatuità e a dall’assenza della politica, ma non ha mai rinunciato a far sentire la propria voce, a lottare, a difendere ideali considerati ormai desueti, a sognare un mondo diverso, a provare a costruire una società migliore, a custodire l’umanità nel tempo della barbarie e a credere nella grandezza dei diritti e nella loro forza intrinseca, in grado di andare al di là di ogni barriera.
Pensava in grande, Rossana Rossanda, e non ha mai smesso di farlo, lei che è stata amica di Sartre, animatrice del gruppo del Manifesto, fondatrice di un’esperienza editoriale figlia del Sessantotto che tuttora resiste, innamorata della Parigi in tumulto e del Sudamerica di Allende e del pensiero alternativo dei grandi intellettuali che, purtroppo, abbiamo dimenticato, pronta a schierarsi dalla parte giusta quando altri preferivano sbagliare in gruppo e fino all’ultimo fiera del suo distinguersi dalle mode e dalle tendenze del momento, per lo più regressive. In un solo aggettivo, eretica, anche se lei si considerava ortodossa in merito al pensiero autentico di Marx. Ha remato per novantasei anni in direzione ostinata e contraria, come tutti i chierici vaganti che vengono compresi solo dopo, talvolta molto dopo, ma lasciano tracce indelebili nella storia e nella concezione dei rapporti umani e politici.
Ruth e Rossana, due rivoluzionarie sulle due sponde dell’Atlantico. Un doloroso addio e un senso di tristezza e solitudine che cresce ogni giorno di più.

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