Bahrain, torna libero Nabeel Rajab, leader del movimento non violento contro il regime

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Nabeel Rajab ha sacrificato la sua libertà per difendere i diritti umani nel Bahrain. Dopo 4 anni di carcere, per la sua lotta pacifica contro le violazioni messe in atto dal governo, è tornato a casa dalla sua famiglia.
Il 9 giugno è stato rilasciato e potrà scontare il resto della pena ai domiciliari.
Rajab era stato arrestato nel 2016 e condannato a 5 anni per alcuni tweet relativi ad abusi perpetrati nella prigione giudiziaria del Bahrain e per le critiche sulla guerra in Yemen. Gli erano stati comminati, inoltre,  altri due anni per aver criticato il Bahrain in alcune interviste televisive.
Ma ciò che più di ogni altra cosa il regno non ha perdonato ad attivisti come Nabeel Rajab è l’insurrezione bahrainiana del 2011, conosciuta oggi come uno dei pochissimi movimenti a favore della democrazia in Medio Oriente e Nord Africa che ha portato avanti la propria battaglia mantenendo fede agli ideali di nonviolenza alla base della loro Resistenza .
Nonostante le repressioni messe in atto dal regime arabo nei confronti di chiunque contesti e contrasti le sue politiche, i manifestanti – sotto la guida di alcune figure dell’opposizione – continuano a chiedere pacificamente e fermamente riforme democratiche.
Rajab, un imprenditore edile, è una di queste figure.  Sin dagli anni ’90, quando si animò la prima ondata di proteste di massa che riuniva la sinistra, i liberali e gli islamisti contro l’ingiustizia dello Stato, ha fatto della lotta per i diritti umani e l’uguaglianza nel suo Paese una priorità.

Nel 2000, insieme ad altre persone coinvolte nei ‘circoli attivisti’ del Bahrain, Rajab ha fondato la Bahrain Human Rights Society, una delle prime organizzazioni per i diritti umani nella nazione insulare. Da allora ha aiutato a fondare e gestire altri gruppi della società civile rispettati e indipendenti quali il Centro per i diritti umani del Bahrain e il Centro per i diritti umani del Golfo.
Il suo profilo Twitter è cresciuto in popolarità durante le rivolte arabe nel 2011 permettendogli di portare avanti l’impegno per i diritti umani anche online. Con oltre 300.000 followers sulla piattaforma dell’importante social media, l’azione di Rajab si è rivelata molto influente in Bahrain e in tutta la regione.

  1. Nel maggio 2012, è stato accusato per la prima volta di “aver insultato un organo statutario tramite Twitter” e, dopo l’arresto,  trattenuto per tre settimane. All’inizio di luglio dello stesso anno è stato accusato di aver insultato il primo ministro in un tweet e condannato a tre mesi di carcere e un mese dopo a tre anni per “attività politiche illegali” attraverso i social network.
    Rilasciato il 24 maggio del 2014, dopo aver scontato due anni di prigione, il 13 giugno del 2016 è stato nuovamente incriminato con l’accusa di “diffusione di informazioni e voci false” per aver twittato e ri-twittato dichiarazioni che criticavano le azioni delle forze del Bahrain nello Yemen, dove il Regno si è unito alla coalizione militare guidata dall’Arabia saudita contro i ribelli Houthi. Apprezzato e supportato a livello internazionale, all’interno del Bahrain Rajab è considerato dalla monarchia costituzionale un personaggio pubblico ‘divisivo’.
    Al fine di ottenere il sostegno per la brutale repressione dell’opposizione, il regime del Bahrain ha lanciato una campagna diffamatoria contro molti dei leader del movimento guidato da Rajab, accusandolo di lavorare con l’Iran per imporre il dominio sciita alla nazione bahreiniana. Addirittura l’attivista è stato accusato da organi di informazione filo-governativi di essere una spia sciita intenzionata a distruggere l’identità nazionale del Bahrain.
    «Ho ancora tanto da fare per il mio popolo, la lotta per i diritti non può che continuare» sono state le  sur prime affermazioni tornato in libertà “La prigione non mi ha sconfitto, io ho sconfitto la prigione”.

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